Una fede solida è base di una solidarietà fraterna costruttiva – SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI – Lectio divina

Una fede solida è base di una solidarietà fraterna costruttiva – SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI – Lectio divina

27 Giugno 2025 0 Di Pasquale Giordano

SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI – Lectio divina
At 12,1-11 Sal 33 2Tm 4,6-8.17-18

O Dio, che ci doni la grande gioia
di celebrare in questo giorno
la solennità dei santi Pietro e Paolo,
fa’ che la tua Chiesa
segua sempre l’insegnamento degli apostoli,
dai quali ha ricevuto il primo annuncio della fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dagli Atti degli Apostoli At 12,1-11
Ora so veramente che il Signore mi ha strappato dalla mano di Erode.

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Àzzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.
Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere.
Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione.
Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui.
Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva».

La Parola non è incatenata
Dopo la persecuzione ad opera delle autorità giudaiche anche quelle pagane attaccano la comunità dei cristiani a partire dai capi. Pietro rivive la passione di Gesù e sperimenta la salvezza dalle mani dei nemici. L’angelo rappresenta Dio che, come ha liberato il Cristo dal sepolcro, così rompe le catene che costringono Pietro nel carcere. Il verbo «alzare» indica la risurrezione. L’angelo esorta l’apostolo a riprendere le sue vesti per condurlo fuori della prigione. Le porte si aprono alla presenza dell’angelo e Pietro si ritrova libero, pronto per riprendere il suo cammino per annunciare il Vangelo senza impedimento. Pietro si rende conto che la sua vita è saldamente nelle mani di Dio e che ogni tentativo di imprigionare la Parola fallisce miseramente.

Salmo responsoriale Sal 33
Il Signore mi ha liberato da ogni paura.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 2Tm 4,6-8.17-18
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia.

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani
Le parole attribuite a Paolo hanno il sapore del testamento spirituale. L’apostolo, presagendo l’avvicinarsi l’ora del martirio nel quale avrebbe offerto in sacrificio a Dio la sua esistenza, sintetizza la sua vita missionaria con le immagini della battaglia e della corsa. Esse indicano la consapevolezza di Paolo di aver faticato per annunciare il Vangelo, ora scontrandosi con i nemici della Croce, ora gareggiando nell’amore con coloro che il Signore ha messo sulla sua strada per essere testimone di Lui fino ai confini della terra. Sebbene stanco e affaticato, Paolo si dice fiero di aver conservato il dono della fede che lo ha guidato e sostenuto in tutta la missione. Per questo ringrazia il Signore che in ogni pericolo ha manifestato la sua forza liberandolo da chi lo voleva morto. L’ora finale non la decide l’uomo ma Dio. Il martirio non è l’atto finale della missione, ma quello iniziale di una vita nuova perché il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani. La fecondità della Chiesa è per Paolo la corona della vittoria che sugella l’opera di Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 16,13-19
Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del regno dei cieli.

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Lectio

Contesto
La pericope è collocata dall’evangelista in un punto di svolta della narrazione evangelica. Da Cesarea di Filippo, che si trova alle falde del monte Ermon dove nasce il fiume Giordano, inizia il lungo viaggio che porterà Gesù a Gerusalemme. Nella Città santa, centro cultuale d’Israele, si svolgono al tempio i riti più importanti in virtù del fatto che lì sorge l’unico tempio, perché unico è Dio. L’episodio di Cesarea di Filippo inaugura anche un tempo di sei giorni che culmina con l’evento della Trasfigurazione su «un alto monte». Secondo alcuni esegeti potrebbe esserci un riferimento alle due feste autunnali che si celebrano a sei giorni di distanza l’una dall’altra: lo «Yom Kippur» e la «festa delle Capanne». Nella prima festa, quella della «espiazione» il Sommo Sacerdote entra nel Santo dei Santi portando il sangue di un capro sacrificato e pronunciando il nome di YHWH. A Cesare di Filippo sorgeva un tempio pagano dedicato al dio Pan posto su una roccia che aveva una grande grotta, chiamata la «porta degli inferi». Chiaro è il riferimento della morte che tutto inghiottisce e di cui non si può avere il potere. Alcuni esegeti inquadrano in questo contesto storico e geografico l’episodio che contiene delle allusioni a «Caesar» e alla pietra che in aramaico si dice «Kefa». Se l’episodio di Cesarea di Filippo lo si legge insieme a quello della trasfigurazione alla luce delle due feste ebraiche, si potrebbe affermare che Matteo anticipa il contenuto dell’evento pasquale quando Gesù, offrendo la sua vita sulla croce viene costituito Sommo Sacerdote, quindi Messia. Egli è quella roccia sulla quale edificare la Chiesa che non teme la legge della morte. Il mandato dato a Pietro consiste nel perpetuare nel suo ministero l’effetto del sacrificio di Cristo consacrato dalla risurrezione in cui la porta degli inferi è definitivamente spalancata.

Testo
La forte debolezza della misericordia
Tutto il racconto è attraversato da una tensione tra la debolezza, stigma dell’umanità fragile, e la forza, propria di Dio che si manifesta nella sua fedeltà. La domanda che Gesù rivolge ai discepoli riguardo al Figlio dell’uomo rivela particolarmente il suo aspetto umano. Infatti, egli, sebbene sia stato riconosciuto come il Figlio di Dio dopo che aveva camminato sulle acque, umanamente avverte il bisogno di conferme che lo aiutino a conoscere meglio se stesso. Gesù sta maturando la consapevolezza della sua identità e della sua missione ma sente la necessità di confrontarsi con gli altri e il loro punto di vista. Il popolo, pur evocando più personaggi, tuttavia riconosce che la sofferenza sia il tratto che accomuna i profeti e che necessariamente caratterizza anche il Figlio dell’uomo. Giovanni Battista, Elia, Geremia e tutti i profeti hanno sperimentato fino alle estreme conseguenze il valore della sofferenza e della debolezza. Si tratta del sensus fidei del popolo, della gente comune che avverte la vicinanza di Dio proprio sul piano della debolezza, anche se non si rassegna alla sofferenza, ma crede che la Sua mano interverrà per liberare i suoi eletti. Ciò che ci appare chiaro come segno di credibilità per gli altri non sempre è facile accettarlo per sé. La sofferenza ci fa paura e dubitiamo di avere la forza necessaria per affrontarla.
I discepoli sono interpellati in prima persona e costretti ad uscire allo scoperto senza nascondersi dietro i «si dice». A nome di tutti risponde Pietro. L’apostolo confessa che Gesù è il Messia perché Figlio di Dio. Pietro parla per ispirazione e non ancora per esperienza. L’ispirazione è l’azione dello Spirito Santo che rivela la verità; essa è tale prima che venga sperimentata. La fede è una luce interiore che fa vedere la verità, cioè le cose come le vede Dio. Con la luce dello Spirito di Dio possiamo vedere anche tra le nebbie delle prove. La professione di fede che esce dalla bocca di Pietro è frutto dell’azione dello Spirito. Perciò la fede è una virtù teologale, ovvero un dono operativo di Dio che agisce “nel segreto”, nell’intimo del cuore della persona. Questa virtù teologale si traduce in quella umana dell’obbedienza, cioè nell’ascolto della voce dello Spirito e nella scelta si seguire le orme del Maestro, modello di fedeltà.
La parola di Gesù diventa per Pietro, e per ogni discepolo insieme a lui, annunciazione: «Simone, figlio di Giovanni, io dico a te …». Anche quella di Gesù è una dichiarazione importante perché svela a Pietro la sua vocazione. L’ispirazione è qualcosa di estremamente diverso dall’immaginazione. La prima è la parola di Dio che sempre si realizza mentre la seconda è la proiezione delle umane aspettative che spesso vanno deluse perché basate sull’orgoglio e l’ambizione.
È il Padre la fonte della rivelazione che conferma a Gesù, tramite la gente e Pietro, la sua missione di Messia, e che rivela a Pietro, tramite suo Figlio, la sua vocazione nella Chiesa. Ciò che confessa Pietro non è l’espressione delle aspettative politiche e sociali, ma è il progetto di Dio. Questo Pietro non lo sa, mentre conosce molto bene l’oppressione e la stanchezza della gente e il loro desiderio di riscatto. La professione di fede di Pietro lascia aperta la domanda sul modo col quale il Cristo eserciterà la sua potestà e per quali fini. A questo interrogativo risponde Gesù che, svelando a Pietro la sua identità, lo fa partecipe della Sua vocazione e della Sua missione.
Nelle parole di Gesù si nasconde un sottile gioco di parole apprezzabile nella lingua aramaica. Infatti, il termine «eben», che indica la «pietra rocciosa», è collegato con la parola «ben» che significa «figlio». Come Gesù sarà riconosciuto nella sua autorità di Figlio di Dio nel drammatico momento della morte, comune eredità di tutti gli uomini, così i discepoli, «credendo in» e «rimanendo in» Lui, diventano la pietra viva di cui è composta la Chiesa di Dio. Sulla croce Gesù, offrendo la sua vita per amore, diviene il più debole tra i deboli, ma proprio in quel momento la potenza di Dio lo costituisce re dell’universo. L’uomo più povero del mondo riceve l’autorità più alta.
I discepoli di Gesù non sono guidati dallo Spirito solamente per conoscere qualcosa di Gesù, ma per entrare nel regno di Dio, cioè sperimentare nel massimo della propria debolezza il grado più alto della potenza dell’amore di Dio. Dal dono dell’ispirazione, che ci raggiunge attraverso la Sacra Scrittura e l’insegnamento della Chiesa, bisogna passare all’esperienza della misericordia e dalla conoscenza ideale o concettuale di Gesù si deve transitare verso il riconoscimento reale della Sua persona soprattutto nei più deboli ai quali farsi prossimi per sostenerli. Allora si scopre che si è forti proprio nella debolezza se la si vive in unione con Cristo. Nel momento in cui si sperimenta la forza dell’amore di Dio che si piega per partecipare alle sofferenze, prendendosi cura delle nostre ferite, allora si diventa testimoni credibili della misericordia divina.
La forza partecipata e l’autorità conferita ai discepoli da Gesù non si traduce in una forma d’imposizione dall’alto ma, al contrario in uno stile di sottomissione e servizio al fine di supportare e confermare i fratelli nella fede. Dio non è un concetto astratto, avulso dalle trame, spesso imbrogliate, della nostra vita, ma è l’Emmanuele il Dio-con- noi, il Dio per noi.
Gesù, come a Pietro, non predice il futuro ma illumina il presente per poter costruire insieme con lui un avvenire illuminato dalla speranza. Ad un occhio orgoglioso il futuro appare da una parte circonfuso della gloria mondana, della fama, della ricchezza e del successo, e dall’altra minacciata dagli imprevisti capovolgimenti di sorte che decreterebbero la fine dei propri sogni. Agli occhi di Dio, invece, le potenze del male, sebbene cerchino di avere la meglio, non avranno l’ultima parola. Gesù invita Pietro a non aver paura delle forze ostili che, pur insidiando la Chiesa, fino quasi a ridurla allo stato catacombale, non avrà mai il controllo della storia, che invece rimane saldamente nelle mani di Dio. Non sono tanto le parole che illuminano di senso la vita, quanto invece sono le opere di carità che danno senso credibile alle parole che pronunciamo. Ciò che ci salva non sono parole simili a formule magiche, ma la Parola di Dio che va ascoltata e messa in pratica, prima ancora che venga proclamata e insegnata. La prima forma di evangelizzazione è la narrazione della fede a partire dal dono delle proprie debolezze trasformate in punti di forza dall’amore di Dio.
La conoscenza di sé e l’espressione delle proprie virtù è possibile solo se si rimane in dialogo con Gesù che ci accompagna nel viaggio della vita.

Meditatio

Il cuore non mente mai!
Dio parla sempre attraverso una relazione personale nella quale Egli si fa conoscere. Non di rado siamo come la gente che esprime la sua idea su Gesù senza conoscerlo, ma per sentito dire. Capita anche che l’opinione che ci facciamo di una persona e la conoscenza che crediamo di avere di lei non si basi tanto su una qualche esperienza diretta ma sul giudizio che altri hanno espresso o sull’impressione avvertita a pelle. Dio non lo puoi conoscere se non lo incontri faccia a faccia, se non ti lasci coinvolgere in una relazione che non può prescindere dal contatto fisico, dal dialogo a tutto tondo. Solo quando permetto a chi ho di fronte d’interpellarmi profondamente e di interrogare il mio cuore, con tutti i pensieri e le emozioni che quel contatto suscita, posso esprimermi secondo verità. Il cuore non mente mai! Pietro parla a Gesù col cuore anche se non sa fino in fondo cosa sta dicendo perché la verità supera la mente e la sua capacità di comprendere. L’apostolo, come ogni uomo, rimarrà sempre incapace di contenere e possedere la verità dell’amore di Dio. Proprio per questo gli viene affidato il potere non di conoscere tutto ma di far conoscere a tutti l’amore di Dio. La parola di Gesù è la chiave di accesso al mistero insondabile della croce, scaturigine sempre attiva della misericordia. Annunciando la sua Pasqua, che avrebbe celebrato vivendo la sofferenza e attraversando la morte per giungere alla risurrezione, Gesù offre ai discepoli la chiave per comprendere il senso profondo degli eventi, la sua vera identità e la sua missione. Pietro non vuol sentir parlare di dolore, umiliazioni e morte e si rifiuta di accettare quella realtà, così drammatica e priva di fascino, nella quale stenta a vedere la volontà di Dio. Quando Pietro parla con il cuore non sbaglia perché il suo pensiero è ispirato da Dio mentre quando è accecato dalla paura egli ragiona di pancia e reagisce in maniera scomposta. Come in Pietro anche in ciascuno di noi convive la luce della sapienza di Dio ma anche le tenebre dei ragionamenti contorti di Satana. I pensieri giudicanti fanno da schermo alla Parola di Dio che non può fecondare il nostro cuore e neanche quello dei nostri fratelli ai quali, invece di porgere la luce della verità per farlo conoscere, offriamo loro una contro testimonianza che ostacola l’incontro con Lui e l’esperienza sanante del suo amore. Le parole di Gesù a Pietro sono dure come la pietra per far comprendere che il modo di pensare del demonio ci fa inciampare nel cammino della santità, cioè ci scandalizza, ci atterrisce e ci impedisce di rialzarci. Pur nella severità del rimprovero Gesù richiama Pietro, cioè lo chiama nuovamente a seguirlo. Infatti, quello di Gesù non è un giudizio che inchioda bensì un appello forte a non lasciarci dominare dal peccato e di dominarlo con la forza della sapienza della croce, la logica dell’amore.

Una fede solida è base di una solidarietà fraterna costruttiva
La fede s’impara, non però come una lezione dettata dai maestri, ma ponendosi in religioso ascolto del proprio cuore. È molto più facile riferire o ripetere ciò che altri dicono che narrare ciò che detta il cuore. Beato l’uomo che, come Simone, figlio di Giona, dà voce alla parola che Dio gli rivela nell’intimo. È beato come Gesù, che è il Cristo, non perché risponde alle attese della gente, ma perché è il Figlio di Dio. La fede è innanzitutto ascolto di ciò che lo Spirito Santo dice al cuore di ciascuno. Dio non parla di cose astratte, ma alla mia vita e della mia vita. Quando la sua parola la sento rivolta a me, come la domanda che il Maestro rivolge ai discepoli, allora non posso che narrare la mia fede, ovvero chi è Gesù per me e come la potenza del suo amore trasforma la mia esistenza. La testimonianza cristiana, prima che essere una replica alle sollecitazioni degli uomini inquirenti, è una risposta alla richiesta che Gesù fa di collaborare alla realizzazione del Regno dei Cieli seguendo il suo esempio di profeta che, scartato dagli uomini come pietra inutile, diventa invece fondamentale per la costruzione della Casa di Dio. La solidarietà con Cristo, crocifisso e risorto, ci rende più solidi e resistenti agli assalti del Maligno che tende a dividere e a distruggere l’unità tra di noi. La fede, testimoniata con la vita sempre più conformata a Cristo, diventa l’elemento fondamentale grazie al quale la Chiesa, comunità di fratelli e sorelle che si amano, cresce e si rafforza. La solidarietà diventa vera solidarietà quando essa è il frutto di una continua ricerca di riconciliazione tra i fratelli. Pietro è chiamato a essere custode, garante e fautore instancabile della comunione fraterna attraverso l’opera del legare, cioè del favorire legami affettivi solidi e liberi, e dello sciogliere i nodi delle liti e dei contenziosi che ostruiscono il passaggio della grazia di Dio nel tessuto connettivo della comunità. L’autorità, a partire da quella della Chiesa, non è una forma di potere da esercitare con ostentazione, ma è un servizio da svolgere per la promozione dell’unità e della comunione, nel silenzio e nel nascondimento come fa la pietra di fondazione di un edificio.
«Tu sei Pietro!». Sono Pietro quando sento che Gesù sulla croce prega per me, perché la mia fede non venga meno; sono Pietro quando Gesù mi chiede di salire sulla mia barca, segno della mia povertà e piccolezza; sono Pietro quando Gesù mi affida i suoi fratelli e mi chiede di amarlo fino alla fine. L’incontro con Gesù non cambia solo il nome di Simone ma anche la direzione verso la quale deve andare il suo cuore.

Oratio
Signore Gesù, come Simon Pietro professo la mia fede in Te che sei Cristo e Figlio di Dio. Prendimi per mano perché possa conoscerti sempre di più, sceglierti come amico, innamorarmi del Padre e, amandovi con lo stesso Amore con cui mi amate, amare i miei fratelli. Aiutami a confessare la mia fede non solo con le parole ma soprattutto con la vita in modo che da essa traspaia la luce della speranza, guida sicura per gli smarriti di cuore. La tua Parola fecondi il mio cuore perché sia aperto ad ascoltare la voce dello Spirito e a dargli risonanza attraverso scelte concrete ispirate dal tuo esempio di uomo tutto consacrato a Dio per il bene degli uomini.
Signore Gesù, narratore fedele della vita segreta di Dio, interroga il mio cuore perché esso, aprendosi a raccontare le meraviglie che lo Spirito Santo opera in me, riconosca con quale amore il Padre mi ama e si prende cura delle mie povertà. Rivelami il progetto di vita che Dio ha pensato per me fin dal principio, prima ancora di essere concepito. Tu mi chiami a collaborare alla realizzazione del Regno dei Cieli e mi affidi le chiavi con le quali aprire le porte del dialogo perché tutti possano avere accesso al tuo amore e tu possa trovare dimora nel cuore di ciascuno dei tuoi fratelli. Rendimi duro per resistere al Maligno e docile perché la mano di Dio possa modellare il mio cuore rendendolo simile al tuo.