Il senso di appartenenza e il rischio di essere di parte – Giovedì della XII settimana del Tempo Ordinario

Il senso di appartenenza e il rischio di essere di parte – Giovedì della XII settimana del Tempo Ordinario

24 Giugno 2025 0 Di Pasquale Giordano

Giovedì della XII settimana del Tempo Ordinario

Gen 16,1-12.15-16 Sal 105 Mt 7,21-29: La casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia.

Donaci, o Signore,
di vivere sempre nel timore e nell’amore per il tuo santo nome,
poiché tu non privi mai della tua guida
coloro che hai stabilito sulla roccia del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro della Gènesi Gen 16,1-12.15-16
Agar partorì ad Abram un figlio e Abram lo chiamò Ismaele.

Sarài, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sarài disse ad Abram: «Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli».
Abram ascoltò l’invito di Sarài. Così, al termine di dieci anni da quando Abram abitava nella terra di Canaan, Sarài, moglie di Abram, prese Agar l’Egiziana, sua schiava, e la diede in moglie ad Abram, suo marito. Egli si unì ad Agar, che restò incinta. Ma, quando essa si accorse di essere incinta, la sua padrona non contò più nulla per lei.
Allora Sarài disse ad Abram: «L’offesa a me fatta ricada su di te! Io ti ho messo in grembo la mia schiava, ma da quando si è accorta d’essere incinta, io non conto più niente per lei. Il Signore sia giudice tra me e te!». Abram disse a Sarài: «Ecco, la tua schiava è in mano tua: trattala come ti piace». Sarài allora la maltrattò, tanto che quella fuggì dalla sua presenza.
La trovò l’angelo del Signore presso una sorgente d’acqua nel deserto, la sorgente sulla strada di Sur, e le disse: «Agar, schiava di Sarài, da dove vieni e dove vai?». Rispose: «Fuggo dalla presenza della mia padrona Sarài». Le disse l’angelo del Signore: «Ritorna dalla tua padrona e restale sottomessa». Le disse ancora l’angelo del Signore: «Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla, tanto sarà numerosa».
Soggiunse poi l’angelo del Signore:
«Ecco, sei incinta:
partorirai un figlio
e lo chiamerai Ismaele,
perché il Signore ha udito il tuo lamento.
Egli sarà come un asino selvatico;
la sua mano sarà contro tutti
e la mano di tutti contro di lui,
e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli».
Agar partorì ad Abram un figlio e Abram chiamò Ismaele il figlio che Agar gli aveva partorito. Abram aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele.

Sara e lo stratagemma di prendere quello che Dio sembra negarle
Le dichiarazioni di Dio del capitolo 15 hanno messo in chiaro che l’estensione della terra promessa è molto grande e che sarà posseduta dalla sua discendenza solo dopo molti anni dalla morte di Abram. Al patriarca è detto che il figlio promesso sarà biologicamente suo. Quest’ ultimo particolare riconduce il lettore al rapporto tra Abram e Sarai che nei capitoli precedenti era scivolata nell’ombra.
Sarai prende l’iniziativa e propone ad Abram di prendere in moglie la sua schiava egiziana Agar. Quello che Dio le nega lei lo vorrebbe prendere dalla sua schiava. In fondo Sarai propone al marito quello che lui le aveva suggerito entrando in Egitto. La logica è la medesima: solo in apparenza ci si interessa dell’altro mentre in realtà si cerca di soddisfare solo il suo desiderio e colmare una propria mancanza.
Sarai si sente esclusa dall’alleanza e dalla promessa di Dio. L’impegno preso da Dio di dare ad Abram un figlio naturale non lo sente rivolto anche a sé. Resa miope dal desiderio frustrato legge tutto come un’ingiusta punizione. Come tale cerca di riscattarsi con le sue forze.
Come incuriosisce il silenzio di Sarai davanti alla richiesta di Abram di presentarsi come sua sorella ed è interpretata come suo consenso, così il silenzio di Abram davanti al progetto di Sarai è da considerare come un’obbedienza non più alla voce di Dio ma a quella della donna. Una situazione similare si era creata nell’Eden tra Adamo ed Eva. Sarai, forte del silenzio-assenso di Abram, costringe il marito a realizzare il suo progetto dandogli in moglie la sua schiava. Agar, una volta incinta, cambia atteggiamento nei confronti di Sarai e da sottomessa si prende quegli spazi che la sua condizione di schiava non le permetteva di avere. Non è più solo la serva di Sarai ma è moglie di Abram e madre di suo figlio biologico.
L’equilibrio delle forze si capovolge e Sarai, sentendosi umiliata e tradita si arrabbia con suo marito accusandolo di essere responsabile del male che subisce. Chiamato in causa, Abram rinuncia alla sua responsabilità di arbitro e, sottomettendosi nuovamente alla volontà della moglie, abbandona Agar e il suo bambino alla loro sorte. Stretta tra l’indifferenza di Abram e la vendetta di Sarai, ad Agar non rimane altra scelta che fuggire. Il Signore la raggiunge attraverso un messaggero per rassicurarla e invitarla a ritornare dalla sua padrona con uno spirito sottomesso. Il nome della sorgente nel deserto, luogo nel quale Agar incontra il messaggero di Dio, testimonia l’esperienza visiva che la donna fa di Yhwh riconosciuto come colui che vede. Nel nome del bambino – Ismaele – è racchiusa la consolazione di Dio che ascolta l’umiliazione.
La triade finale, Agar, Abram, Ismaele, suggella il fallimento del progetto di Sarai che, sentendosi esclusa prima dalla promessa di Dio e poi dalla sua schiava di cui aveva tentato di servirsi per raggiungere il suo scopo, scivola nuovamente nel silenzio con la sua frustrazione.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 7,21-29)
La casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.

Il senso di appartenenza e il rischio di essere di parte
«Entrerà nel regno dei cieli chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». Gesù riassume con queste parole il primo discorso nel vangelo secondo Matteo. Il regno dei cieli altro non è che Dio stesso; entrare in esso significa sostanzialmente appartenere al Padre come suo figlio e realizzare la rete della comunione fraterna che è la Chiesa. Dunque, la felicità non consiste nel possedere qualcosa ma nell’appartenere a Dio e nel custodirci reciprocamente tra fratelli nell’amore.
Un’applicazione pratica di questo avvertimento evangelico la fa Paolo parlando ai Corinti (1Cor 3) ai quali «come a neonati in Cristo», essendo ancora molto legati ai ragionamenti tipicamente umani, ha potuto dare da bere il latte piuttosto che il cibo solido. L’apostolo mette in guardia i Corinti dal fraintendimento che ci può essere nella comunità cristiana quando si confonde il senso di appartenenza con l’essere di parte. Tale confusione genera invidie e discordie che deformano il volto della Chiesa, la quale da edificio fondato su Cristo diventa una realtà basata su quelli che pretendono di prenderne il posto. Infatti, la chiesa della città greca di Corinto era attraversata da profonde divisioni e rivalità causate da atteggiamenti partigiani di coloro che si vantavano di seguire uno dei capi della comunità Apollo o Paolo o Cefa.
Paolo, quasi facendo eco alla risposta che il Signore da a coloro che gli dicono: Signore, Signore, noi nel tuo nome abbiamo profetato, abbiamo cacciato i demoni e abbiamo fatto prodigi, ricorda che nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. Dunque, sembra ribadire l’apostolo delle genti, la prima condizione per essere giusti e praticare la giustizia è porre a base della propria vita la relazione con Gesù. Su questo fondamento si poggia tutta l’opera del cristiano, dalle piccole alle grandi cose. Chi fonda la sua vita su Cristo e si unisce a Lui conformando la propria vita alla sua, egli stesso si lascia edificare come pietra viva insieme con gli altri per formare il tempio di Dio. Esso risplenderà per l’armonia tra i vari elementi architettonici piuttosto che per la bellezza di un singolo elemento. Così la volontà del Padre si realizza quando c’è fraternità e comunione tra l’autorità e il popolo di Dio.
Chi ha un compito particolare nella Chiesa, che sia quello d’insegnare o evangelizzare, oppure di guarire e santificare, qualsiasi sia il ministero deve ricordare che siamo «collaboratori di Dio» perché solo Lui fa crescere. Sostituirsi a Dio significa condannarsi e condannare altri alla rovina.
Le prove della vita, che Gesù identifica con le intemperie metereologiche, si abbattono su tutti indistintamente. Paolo preferisce usare l’immagine del fuoco che rivela se la nostra opera nasce dalla relazione con Gesù o dall’autoreferenzialità.
Le invidie, le gelosie, le calunnie, i tradimenti, i giudizi ingiusti, le critiche cattive, le insinuazioni maligne colpiscono chiunque, tuttavia sono rivelative del fatto che la fede, le scelte di servizio, l’impegno missionario l’abbiamo poggiato su Cristo o su noi stessi, ovvero abbiamo messo in pratica la volontà di Dio o la nostra. Rimane saldo e continua nel tempo ciò che nasce dal cuore di Dio, roccia della nostra salvezza, cade, passa e scompare tutto ciò che si basa sulla sabbia della nostra presunzione e autoreferenzialità.

Preghiamo
Signore Gesù, pietra scartata dai costruttori che Dio ha posto come fondazione del Regno dei Cieli, aiutaci a non cadere nella tentazione di piegare la Sua volontà alla nostra ma illuminaci affinché la nostra sia voce della tua Parola e la nostra fatica sia il riflesso della tua azione. Fa che i nostri gesti rituali e il nostro impegno non siano motivati dal desiderio di affermazione e di ostentazione ma siano generati dalla meditazione della tua parola, dalla contemplazione della tua volontà e dall’umile disponibilità a mettersi a servizio dell’Architetto del mondo come una matita nella sua mano.