Le mani sporche di carità – Sabato della IV settimana di Pasqua

Le mani sporche di carità – Sabato della IV settimana di Pasqua

24 Aprile 2024 0 Di Pasquale Giordano

Sabato della IV settimana di Pasqua

At 13,44-52   Sal 97  

O Dio, che nella solennità della Pasqua

agisci per la salvezza del mondo,

continua a elargire alla Chiesa la tua benevolenza,

perché, fedele ai tuoi comandamenti nella vita presente,

possa giungere alla pienezza della gioia eterna.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dagli Atti degli Apostoli (At 13,44-52)

Il sabato seguente quasi tutta la città [di Antiòchia] si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo.

Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».

Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero.

La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio.

I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

Chi rimane fedele a Dio vede trasformarsi la sterilità dei fallimenti in fecondità di servizio d’amore

Il primo annuncio di Paolo e Barnaba ad Antiochia di Pisìdia suscita grande curiosità tanto da richiamare una folla considerevole il sabato successivo. Questo successo suscita la gelosia di chi considera la Parola di Dio un fatto di “esperti” e cerca di proteggerla da interpretazioni che secondo loro ne deturperebbero la purezza. La cattiva fede nel trattare le cose di Dio emerge quando, con la scusa di difendere l’ortodossia, si è violenti, aggressivi, minacciosi contro i fratelli. Dietro l’apparente zelo si nasconde una profonda arroganza che genera violenza. Tuttavia il rifiuto di alcuni giudei autorevoli permette ai due evangelizzatori di adempiere la scrittura del profeta Isaia quando parla del servo sofferente che è chiamato ad essere luce non solo per Israele ma per anche per i pagani. Nelle crisi si vive la fedeltà a Dio e alla propria vocazione. Da una parte ci si scrolla di dosso come la polvere la pur normale rabbia e tristezza, e dall’altra si vive l’umiliazione come un atto di amore in unione all’evento della passione e risurrezione di Cristo. La tristezza si trasforma in gioia quando si vivono le difficoltà della vita, con il carico di mortificazioni, rimanendo in sintonia con Dio che rende fecondo il servizio d’amore proprio attraverso le esperienze di sterilità o di aborto di progetti all’inizio condivisi. Da questa pagina degli Atti degli Apostoli giunge una parola di incoraggiamento a tutti quelli che sentono la ferita di un fallimento: chi rimane fedele a Dio e poggia il suo cuore sulla salda roccia del suo amore vedrà rifiorire dentro di sé la carità verso coloro che sono origine di pianto e desolazione.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,7-14)

Chi ha visto me, ha visto il Padre

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».

Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.

In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

Le mani sporche di carità

«Signore, mostraci il Padre e ci basta» è la richiesta di Filippo, uno dei Dodici. Questo apostolo era già apparso sulla scena perché aveva raccolto la richiesta dei Greci che chiedevano di «vedere Gesù» (Gv 12,21). In quella occasione Gesù parla per la prima volta dell’ora che è giunta, quella nella quale il Figlio dell’uomo sarebbe stato manifestato nella sua gloria. Si tratta del primo annuncio esplicito della passione intesa come la manifestazione della gloria di Dio. La piccola parabola del seme chiarisce il senso dell’evento annunciato: il seme caduto nella terra deve morire per portare frutto. Così la morte non è più uno strumento del principe di questo mondo attraverso il quale egli vorrebbe tenere per sé i morti, ma con il sacrificio di Gesù, diventa la via di passaggio dal dominio del maligno alla signoria di Dio. Morire non significa annullarsi, ma donarsi per generare nuova vita. Gesù aggiunge: «Se uno vuole servire me, mi segua e dove sono io là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà» (Gv 12, 26). Per vedere Gesù e conoscerlo bisogna andare dietro a lui fino alla croce, essere sepolti con lui nella morte ed essere risuscitati dal Padre. In altri termini, Gesù richiama alla necessità di vivere ogni giorno il nostro battesimo che ci fa figli di Dio. Concretamente questo significa vivere la fede non come una semplice formulazione di concetti astratti, ma renderla visibile attraverso le opere. Come il chicco di frumento caduto in terra se non muore rimane solo, così la fede se non è partecipazione al sacrificio di Gesù sulla croce rimane sterile e inutile. Dunque, non basta professare la fede ma bisogna renderla visibile attraverso le opere. Attraverso di esse mostriamo il volto di Gesù, amico e salvatore degli uomini, come nel Crocifisso Risorto si manifesta lo splendore del Padre.

A ragione san Giacomo ci ricorda: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo?» (Giac 2,14). Qualcuno può illudersi che dicendo qualche parola buona espleta il suo servizio di buon cristiano! La fede sporca le mani, ferisce, fa perdere «peso», cioè può compromettere la “buona reputazione” e l’immagine che con impegno si cerca di dare di sé agli altri. Una fede che ci lascia integri è una falsa fede, oltre che dannosa, a noi e agli altri. La fede deve portarci a farla seguire da opere di servizio così come la fede di Gesù, intesa come adesione alla volontà del Padre per cui i due sono uno, lo porta al sacrificio estremo della sua vita, lo conduce ad amare i suoi che sono nel mondo fino alla fine.

All’uomo, mendicante di amore, non bastano le catechesi, gli incontri, le prediche, ma egli necessita dell’essenziale, che non appare quasi mai come qualcosa di piacevole per chi lo deve offrire.

Davanti alla prospettiva del sacrificio anche Gesù è spaventato: «Adesso l’anima mia è turbata; cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome» (Gv 12,27-28). Gesù ci insegna a pregare il Padre nella prova e nel turbamento che suscita l’ora del servizio estremo, del sacrificio per amore, dell’opera della fede: sia santificato il tuo nome. Con questa espressione, che tante volte affiora sulle nostre labbra, noi chiediamo al Padre di mostrarsi attraverso le nostre opere di carità soprattutto quelle che non ci piacciono oppure il cui effetto è la solitudine, l’isolamento, l’incomprensione, l’ingratitudine, la calunnia. Quando le nostre opere di carità hanno come conseguenza la perdita di qualcosa, vuol dire che sono quelle in cui Dio sta operando. Dal nostro corpo segnato dalle ferite della fatica non apprezzata, dal lavoro non riconosciuto, dal servizio non accettato, fluisce la grazia di Dio che sana e che salva.

Signore Gesù, Tu sei il volto sul quale risplende la gloria di Dio, sei la Parola che realizza il Suo pensiero, sei il braccio potente del Signore che rialza gli umili e ricolma di beni i poveri, sei la Presenza che dà vita al mondo. Che i miei occhi siano fissi su di Te, senza lasciarmi turbare dalle contraddizioni della vita o sedurre dalle ingannevoli tentazioni. Con il tuo aiuto e sul tuo esempio il mio cuore possa sempre cercare la pace percorrendo i sentieri della riconciliazione con il Padre e la comunione con i fratelli. Le richieste rivolte a Dio elevate nel tuo nome siano eco della tua preghiera di intercessione, di lode e di supplica mossa dallo Spirito, affinché possiamo essere nella Chiesa un cuore solo e un’anima sola come Tu e il Padre siete uno. Amen.