Il pane che sazia di vita – Martedì della III settimana di Pasqua

Il pane che sazia di vita – Martedì della III settimana di Pasqua

15 Aprile 2024 0 Di Pasquale Giordano

Martedì della III settimana di Pasqua

At 7,51-8,1   Sal 30 

O Dio, che apri la porta del regno dei cieli
a coloro che sono rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo,
accresci nei tuoi fedeli la grazia del Battesimo,
perché liberati da ogni peccato
possano ereditare i beni da te promessi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dagli Atti degli Apostoli (At 7,51-8,1)

In quei giorni, Stefano [diceva al popolo, agli anziani e agli scribi:] «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata».

All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano.

Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio».

Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Sàulo.

E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì.

Sàulo approvava la sua uccisione.

Lo Spirito Santo forma in Stefano l’immagine di Gesù profeta e martire

Lo Spirito Santo porta a compimento la formazione di Gesù Cristo in Stefano. Infatti come il Maestro anche Stefano richiama la sorte riservata ai profeti i quali vivono sulla loro pelle la resistenza che gli uomini oppongono all’azione di Dio. Stefano che era stato incaricato al servizio alle mense non limita la sua missione ad una pratica di volontariato, ma comprende che ha ricevuto il dono dello Spirito Santo per essere profeta, servo della Parola, voce di Dio. La storia insegna che i veri profeti non trovano accoglienza e benevolenza, ma vengono osteggiati, perseguitati, come d’altronde anche Gesù, profeta di Dio per eccellenza, viene tradito e ucciso. Luca sin dalle prime pagine del suo vangelo ha messo in luce il nesso tra il servizio profetico e la sofferenza personale fino alla morte. Rileggendo alcune pagine del profeta Isaia o del libro della Sapienza il Giusto non è tanto quello che esegue la legge – perché essa può essere attuata letteralmente per uccidere – ma colui che soffre e muore fiducioso che la Parola di Dio, che annuncia la vittoria dell’amore sulla morte, si compie. Il Giusto è il servo sofferente che non muore a causa dei peccatori, ma muore offrendo la sua vita per i peccatori. Come Gesù, anche Stefano infatti muore ingiustamente ma confidando nella fedeltà di Dio e intercedendo per i suoi uccisori. La preghiera di Gesù sulla croce e quella di Stefano mentre viene lapidato, rivela l’autenticità del profeta che rivela la verità su Dio. Egli non si stanca dell’uomo che lo rifiuta, ma trasforma il suo dolore in dono, perché il suo amore è per sempre. Stefano da profeta, servo sofferente, vede Gesù risorto in piedi alla destra di Dio nell’atto di intercedere per lui e accoglierlo nei cieli definitivamente aperti. Il Crocifisso Risorto, attraverso i suoi servi, intercede perché anche noi peccatori possiamo essere avvinti dalla forza dell’amore e morendo al peccato, rinascere come creature nuove.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,30-35)

Non Mosè, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo.

In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».

Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».

Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».

Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Il pane che sazia di vita

La folla chiede un segno come quello che Mosè compì nel deserto dove il popolo d’Israele, stanco del viaggio e affamato, fu nutrito di manna. Gesù ricorda che non fu Mosè a garantire il pane ma che fu solo un mediatore del dono di Dio. Dell’esperienza fatta nel deserto è rimasto solo un ricordo? Colpisce il fatto che viene attribuito a Mosè ciò che invece dovrebbe essere ricondotto all’opera di Dio e alla sua costante e amorevole premura verso l’ingrato popolo. È chiara la difficoltà ad alzare lo sguardo e vedere la realtà al di là dei propri criteri di valutazione. La storia dovrebbe illuminare il nostro presente per riconoscere i segni della presenza di Dio. Egli non sceglie forme spettacolari ma quelle ordinarie che sono talmente normali da passare anche inosservate. Gesù invita a passare dal desiderare il pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo e simbolo del nutrimento che soddisfa i bisogni primari dell’uomo, al chiedere il pane dal cielo, segno del sogno di Dio che una vita donata per amore può realizzare.

Il dono di Dio non è qualcosa ma qualcuno, è una persona: «colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Gesù chiarisce che lui non è solo mediatore per ricevere qualcosa da Dio, ma è lui stesso il «pane di Dio», il «pane della vita». L’amore di Dio si può riconoscere quando non guardiamo la realtà a partire dai nostri bisogni ma nel momento in cui, credendo nel suo Figlio unigenito, andiamo da lui per avere la vita. Dovremmo lasciarci portare dalla voce interiore della fede che ci fa uscire dagli schemi mentali tipicamente terreni per i quali in cima alle preoccupazioni c’è il problema di portare qualcosa in tavola o mettere qualcosa sotto i denti.

Gesù raccomanda di non preoccuparsi di cosa mangiare, perché il Padre nostro sa di cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo (cf. Mt 6,25s). La domanda assillante dovrebbe essere la stessa che inquieta il cuore di Dio che sempre cerca il modo di comunicare il suo amore all’uomo perché impari ad amare e a dare anche lui la sua vita per gli altri.

Signore Gesù, pane di Dio, pane della vita, tu sempre ti doni perché chiunque crede in te possa gustare e vedere l’amore di Dio. Sei disceso dal cielo per fare la volontà del Padre. Ti fai mangiare perché tu possa scendere nell’intimo del cuore, sanare le sue ferite, aprirlo per accogliere la pace che doni. Feconda di cielo questa mia povera terra e da essa potrà ancora germogliare la giustizia e la pace. Aiutami a pregare come Mosè perché interceda per il popolo che stenta a riconoscere la tua amorevole presenza. Possa essere per i fratelli mediatore dell’incontro con te la cui parola sazia la fame di ogni vivente.