L’inutile elemosina e la giusta misericordia – Giovedì della II settimana di Quaresima

L’inutile elemosina e la giusta misericordia – Giovedì della II settimana di Quaresima

25 Febbraio 2024 0 Di Pasquale Giordano

Giovedì della II settimana di Quaresima

Ger 17,5-10   Sal 1  

O Dio, che ami l’innocenza

e la ridoni a chi l’ha perduta,

volgi verso di te i nostri cuori

perché, animati dal tuo Spirito,

possiamo rimanere saldi nella fede

e operosi nella carità fraterna.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 17,5-10)

Maledetto chi confida nell’uomo; benedetto chi confida nel Signore.

Così dice il Signore:

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,

e pone nella carne il suo sostegno,

allontanando il suo cuore dal Signore.

Sarà come un tamerisco nella steppa;

non vedrà venire il bene,

dimorerà in luoghi aridi nel deserto,

in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.

Benedetto l’uomo che confida nel Signore

e il Signore è la sua fiducia.

È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,

verso la corrente stende le radici;

non teme quando viene il caldo,

le sue foglie rimangono verdi,

nell’anno della siccità non si dà pena,

non smette di produrre frutti.

Niente è più infido del cuore

e difficilmente guarisce!

Chi lo può conoscere?

Io, il Signore, scruto la mente

e saggio i cuori,

per dare a ciascuno secondo la sua condotta,

secondo il frutto delle sue azioni».

Chi crede in Dio resta saldo nella prova

Le parole del profeta Geremia richiamano subito alla mente il portale d’ingresso del Libro dei Salmi. Infatti, nel Salmo 1 viene dichiarato beato l’uomo che non segue i consigli dei malvagi e non si conforma all’atteggiamento dei superbi, ma si lascia guidare dalla parola di Dio che medita nel cuore in ogni momento. Geremia definisce giusto l’uomo che confida in Dio e che trova in Lui la forza di superare ogni ostacolo. I due testi sono accomunati dalle immagini tratte dall’ambiente tipicamente mediorientale in cui si alternano paesaggi stepposi e oasi verdeggianti. La differenza la fa la presenza dell’acqua. Geremia giunge alla conclusione che Dio è come l’acqua, essenziale per la vita dell’uomo. Se egli custodisce nel cuore, come una cisterna, la Sua parola o fa scorrere dentro di sé la misericordia, la sua vita fiorisce e porta frutto in qualsiasi condizione, anche nella prova. Al contrario, colui che è pieno di sé ma vuoto di Dio non supera il tempo della prova finendo miseramente i suoi giorni.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 16,19-31

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:

«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.

Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.

E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

L’inutile elemosina e la giusta misericordia

La parabola ha come soggetto principale un uomo ricco che conduceva una vita comoda e agiata. Un uomo che tutti avrebbero potuto dire fortunato o anche benedetto. Alla sua porta c’era un povero di nome Lazzaro, un misero mendicante, abbandonato da tutti, tranne dai cani che gli leccavano le ferite, che tutti avrebbero definito un uomo sfortunato. La morte accomuna i due uomini che la «sorte», così avrebbe potuto pensare qualcuno, aveva differenziato assegnando a uno i suoi beni e all’altro i suoi mali. Se la storia si fermasse qui sarebbe legittima la domanda: perché esiste l’ingiustizia, per cui c’è chi ha tanto e chi ha nulla, perché la vita è così iniqua che riserva la fortuna ad alcuni e la disgrazia ad altri?

In realtà la storia continua perché la morte ribalta la sorte per cui il povero Lazzaro entra ricco in cielo e il ricco si ritrova in mezzo ai tormenti degli inferi. Lì si ricorda di Lazzaro, che in vita aveva sempre ignorato, e gli chiede aiuto per alleviare le sue sofferenze. La risposta di Abramo rende esplicito il peccato del ricco. L’indifferenza crea un abisso incolmabile, facendo della differenza una distanza abissale. L’uomo ricco più che domandarsi come godere dei beni ricevuti, avrebbe dovuto interrogarsi su come impiegarli per il bene anche degli altri. La vita diventa ingiusta quando è goduta solo per sé stessi.

Se il ricco avesse rinunciato a qualche piacere avrebbe sentito un po’ della fame di Lazzaro e se avesse tolto qualcosa da sé avrebbe accorciato le distanze dal fratello. La morte ristabilisce la giustizia negata dagli uomini. Per cui il povero viene saziato dei beni che gli sono stati rifiutati e il ricco perde la vita che invece ha preteso di godere solo per sé.

Le briciole che cadono dalla tavola del ricco sono l’inutile elemosina di quelle persone che danno agli altri gli scarti, senza lasciarsi ferire dal dolore degli altri.

La carità è il compendio della Parola di Dio e della giustizia. Ascoltarla significa praticare la misericordia, ovvero rendere il cuore misero per fare proprio il dolore del fratello e condividerlo offrendo ciò che si ha e ciò che si è.

Signore Gesù, tu che ti sei fatto povero per arricchirci e hai condiviso la fraternità per condurci tutti in Paradiso, scuotimi dal torpore dell’indifferenza e rendi il mio cuore sensibile al dolore del misero. Il mio occhio non si abitui a vedere scene di povertà ma illuminato dalla tua Parola sia attento a cogliere anche quelle nascoste per provarne compassione. Il mio orecchio non si stanchi di ascoltare il grido del misero ma con l’aiuto del tuo Spirito il mio cuore possa aprirsi ad accogliere il suo anelito e la mia voce si unisca alla sua per invocare giustizia. Le mie spalle non si alzino in segno di rassegnazione ma ti chiedo di renderle più forti perché possa farmi carico del peso dei miei fratelli più deboli e soli.