La carità non è un lusso per pochi – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

La carità non è un lusso per pochi – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

7 Novembre 2021 0 Di Pasquale Giordano

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

1Re 17,10-16   Sal 145   Eb 9,24-28  

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 12,38-44

Questa vedova, nella sua povertà, ha dato tutto quello che aveva.

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.

Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

La carità non è un lusso per pochi

Due povere vedove sono le protagoniste della prima lettura e del vangelo. Entrambe sono caratterizzate da una profonda miseria ma soprattutto dalla ricchezza della loro fede per la quale esse, fidandosi di Dio, offrono a Lui tutto ciò che hanno per vivere. Gesù ha compiuto il suo cammino giungendo a Gerusalemme in occasione della festa della Pasqua ebraica. Visita il tempio che, da una parte diventa teatro di dispute con i rappresentanti delle autorità religiose, dall’altro è lo spazio nel quale Gesù insegna alla folla che si era radunata per la festa ormai alle porte. La prima parola di Gesù è un giudizio severo nei confronti degli scribi che amano l’apparenza e la vanagloria. La loro ipocrisia nasconde dietro una falsa religiosità, fatta di lunghe preghiere, l’avidità del denaro che li porta a sfruttare le povere vedove nel loro bisogno di ottenere giustizia. La loro presunta sapienza derivante dalla conoscenza della Legge, che avrebbe dovuta essere messa a servizio dei più deboli, diventa occasione per speculare sulle disgrazie della povera gente e per approfittarne al fine di soddisfare le proprie manie di grandezza. Essi sono cattivi maestri che invece di praticare la giustizia alimentano le ingiustizie. La maggiore severità nella condanna risiede nel fatto che gli empi mescolano insieme culto e iniquità. Il tesoro del tempio era il luogo nel quale venivano raccolte le offerte della gente. Per molti, soprattutto per i più ricchi, era un’occasione per fare sfoggio di sé. Le offerte generose erano annunciate ad alta voce dall’addetto del tempio. Chi osservava non poteva che fermarsi a valutare secondo il criterio della quantità. Tutti potevano accedere per fare la propria offerta. L’attenzione maggiore era riservata ai numerosi ricchi che gettavano molte monete. Tra questi c’è anche una povera vedova che getta nel tesoro due monetine. Quella piccola offerta sarebbe passata inosservata se Gesù non ne avesse fatto una lettura più profonda. Lo sguardo di Gesù è lo stesso di Dio che si compiace di quella povera donna. Essa, infatti, col suo silenzioso gesto rivela la verità di un Dio che ama dando tutto sé stesso. Nell’obolo della vedova si coniugano la giustizia e la carità di Dio. La ricchezza della sua misericordia e la generosità del suo amore non consistono nel dare una parte del proprio superfluo ma, proprio come fa la povera donna, tutta la sua vita. Gli scribi sono un esempio di come la ricchezza può dare alla testa al punto da renderci dei miserabili mendicanti di consenso più che di amore. L’orgoglio può portarci ad essere la caricatura di quell’uomo che Dio ha sognato a sua immagine e somiglianza. Confidando solo sulle proprie forze si finisce con il perdere la fiducia in sé stessi nell’ossessiva ricerca di conferme e gratificazioni. Da qui deriva il tentativo di sedurre gli altri puntando sull’apparenza e mostrandosi munifico, generoso e altruista. Gesù insegna ai suoi discepoli a puntare più in alto guardando non i grandi della terra ma i piccoli del regno di Dio, i poveri in spirito. Della donna non viene esaltata la sua povertà, ma la ricchezza della sua fede e il valore immenso della sua carità. Per il cristiano i modelli di vita a cui ispirarsi non sono i grandi, che si sono affermati nella vita e che sono dichiarati beati dalla gente, ma è Gesù Cristo. È possibile incontrarlo ancora oggi in tutti coloro che, spesso rifuggendo dai riflettori o dai palcoscenici perché estranei alle logiche pubblicitarie, lasciandosi ispirare dalla parola del Vangelo, vincendo le molteplici resistenze culturali, silenziosamente offrono la propria vita anteponendo l’altro a sé stesso anche quando si è perseguitati e ci si scontra con l’ingratitudine. Chi si arricchisce nella fede, attraversando con speranza le prove della vita, diventa grande nell’amore. L’amore non è un lusso che solo pochi possono permettersi ma è la vocazione a cui tutti sono chiamati, è la vetta della vita a cui Gesù ci guida.  

Signore Gesù, che ti identifichi nella povera vedova, insegnaci a riconoscerti non in coloro che ci seducono con il fascino del potere e la retorica del successo ma in quelle donne e in quegli uomini che silenziosamente spendono la loro vita a servizio del prossimo anteponendo agli interessi di parte il bisogno dei più deboli. Nelle prove della vita che sconvolgono i nostri progetti e mandano all’aria le nostre attese, donaci la grazia di confidare nel tuo aiuto. La tua provvidenza da promessa diventa realtà nel momento in cui la solidarietà tra poveri vince sulla logica della concorrenza e della conflittualità. Colma i vuoti della nostra autostima con la ricchezza del tuo Spirito perché la tua Carità sani le ferite dell’orgoglio. Il nostro cuore sia libero e pronto ad ascoltare l’appello della tua Parola e ad accogliere il grido d’aiuto dei nostri fratelli, imparando da Te a servire ogni uomo generosamente nel silenzio.