III Domenica di Quaresima – Lectio Divina

III Domenica di Quaresima – Lectio Divina

4 Marzo 2021 0 Di Pasquale Giordano

III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)

Es 20,1-17   Sal 18   1Cor 1,22-25   

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,13-25) 

Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». 

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 

Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

Quello compiuto alle nozze a Cana di Galilea «fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv 2, 11). Il Vangelo di Giovanni è diviso in due parti, il vangelo dei «Segni» (capp. 1-12) e il vangelo della «Gloria» (capp. 13-21). L’evangelista conclude il racconto della Pasqua con la manifestazione di Gesù risorto a Tommaso il quale affermava che per credere alla parola degli apostoli voleva vedere il corpo di Gesù con i segni della passione. Il risorto dichiara beati quelli che credono pur non vedendo. Giovanni conclude: «Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20, 30-31). Gesù compie i segni perché chi crede in lui possa vivere come lui. Il segno per eccellenza è l’evento della croce attraverso il quale Gesù compie la volontà del Padre («Tutto è compiuto») e dona lo Spirito Santo («Chinato il capo diede lo Spirito»). La fede per Giovanni è un cammino insieme con Gesù, Cristo e Figlio di Dio, nel quale parla e opera il Padre. Credere è un processo educativo attraverso il quale lo Spirito Santo, donato dalla croce, ci forma ad immagine di Gesù. Il Vangelo di Giovanni è un itinerario di fede nel quale, soprattutto nella prima parte della narrazione, s’intrecciano gesti e parole che scandiscono il cammino il cui vertice è la Pasqua di Gesù. Contrariamente agli altri tre racconti evangelici che parlano di un solo viaggio verso Gerusalemme per la Pasqua, il quarto vangelo invece riferisce tre pasque vissute da Gesù di cui la prima e la terza a Gerusalemme (2,13; 11,55), la seconda (cap. 6,4) a Cafarnao dove avviene il segno dei pani e il successivo discorso sul «Pane di vita». La terza Pasqua è riconosciuta da Gesù come l’ora di passare da questo mondo al Padre amando i suoi fino al compimento (Gv 13). La Pasqua, che significa passaggio, con l’evento della croce da festa dei Giudei diventa Pasqua di Gesù e di chi crede in lui. 

I tre riferimenti alla Pasqua dei Giudei sono caratterizzati anche dall’immagine del tempio, del pane del Cielo, e l’agnello pasquale. Dal culto inteso come offerta dei sacrifici a Dio si passa a vivere la liturgia come incontro con Dio che offre sé stesso come nutrimento per la vita. 

Il gesto di Gesù chiamato «purificazione del tempio» si colloca tra i primi due segni compiuti da lui, entrambi a Cana di Galilea, l’acqua trasformata in vino (2, 1-11) e la guarigione del figlio di un funzionario regio di Cafarnao (4, 46-54). In entrambi gli eventi gioca un ruolo importante la parola di Gesù. Nel primo caso Gesù dà il comando ai servi di riempire d’acqua le giare di pietra, cosa che gli inservienti fanno puntualmente; nel secondo caso Gesù annuncia: «Tuo figlio vive». Il funzionario del re, che aveva chiesto a Gesù di scendere a Cafarnao per salvare il proprio figlio prima che fosse troppo tardi, crede alla sua parola e fa ritorno a casa. Ha compreso l’ammonimento di Gesù che aveva detto: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (4, 48). Mentre è in cammino i servi gli portano la buona notizia che conferma la parola di Gesù. 

Gesù, come ogni buon ebreo, compie il suo pellegrinaggio a Gerusalemme perché lì possa celebrare la Pasqua. La meta del cammino è il tempio, cuore della Città santa. La prima visita di Gesù a Gerusalemme è al tempio dove si apre davanti a lui una scena che non doveva essergli inedita. Nell’area del tempio sostavano i mercanti di animali che servivano per i sacrifici e i cambiamonete per le offerte in denaro, giacché non era possibile introdurre nel tempio monete con l’immagine dell’Imperatore. La reazione di Gesù è molto forte per con una frusta libera lo spazio sacro da ciò che sarebbe stato offerto in sacrificio e getta a terra le monete in segno di disprezzo. Ai venditori di colombe, la sola offerta che i poveri potevano permettersi, intima di non fare della Casa del Padre un mercato. La cacciata dei mercanti, come descritta dall’evangelista, più che essere fedele ad un dato di cronaca (è improbabile che un uomo solo abbia potuto cacciare i mercanti senza l’intervento dei soldati romani), è un segnale del fatto che si stia compiendo della Scrittura, come appunto accennano le parole di Gesù: «Non fate della casa del Padre mio un mercato!». In queste parole riecheggia la profezia di Zaccaria: «In quel giorno non vi sarà neppure un mercante (o un cananeo, cioè idolatra) nella casa del Signore degli Eserciti» (Zc 14,21). Nei vangeli sinottici la «purificazione del tempio» è narrata poco prima della passione, quindi a conclusione del racconto. In essi troviamo una citazione combinata di Is 56,7 e Ger 7,11: «La mia casa (di Dio) sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni», ma è diventata «un covo di ladri». Gesù considera il tempio la sua casa e quella del «Padre suo». I discepoli interpretano il gesto di Gesù alla luce del Sal 69,10 in cui il giusto perseguitato senza sua colpa ripone la propria speranza in Dio. La foga con la quale Gesù prende posizione contro il mercimonio che si consuma all’ombra del tempio non si spiega se non con la Scrittura. Gesù è visto come il difensore della purezza della fede come lo erano stati i profeti, da Elia in poi. Tutti si erano battuti, pagando di persona e fino alla morte, perché la fede d’Israele non degenerasse in idolatria. Essa è la prima delle ingiustizie e, in quanto tale, quella che genera tutte quante le altre. 

Nella prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, il divieto d’idolatria è il primo perché Israele ricordi che è stato salvato solo dal Signore e che Egli è l’unico Dio da amare. Dunque, Gesù richiama al rispetto dell’alleanza che Dio ha stipulato con Israele sul monte Sinai. Il Decalogo è la Parola che Dio offre all’uomo perché la libertà donatagli possa essere vissuta a pieno da lui.

Alla luce della Scrittura comprendiamo che ciò che anima Gesù non è la salvaguardia delle tradizioni e la purezza formale della fede, ma il suo intento è quello di essere a servizio del ristabilimento della relazione di alleanza tra Dio e l’uomo incrinato dal peccato. Lo zelo esprime un forte legame. La gelosia umana conduce a distruggere l’altro, mentre quella di Dio lo induce a consumarsi per amore affinché l’amato, che lo ferisce con il suo peccato si salvi. Gesù stesso lo spiegherà a Nicodemo quando dice: «Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).

La seconda parte del racconto è una disputa tra i Giudei lì presenti e Gesù. I Giudei sono il fronte che oppone il rifiuto e la resistenza alla missione di Gesù. Sono quelli dei quali l’evangelista aveva detto nel prologo del vangelo: «Il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1, 10-11). I Giudei, simbolo degli increduli, si oppongono ai discepoli che invece sono il segno di coloro che con Gesù compiono un cammino di fede che è anche un itinerario di purificazione che parte dal distruggere la falsa immagine di Dio per lasciarsi edificare dallo Spirito come il vero tempio di Dio nel quale, come esorta s. Paolo, si offre in culto spirituale il proprio «corpo come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio». L’apostolo continua esortando: «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 1-2). 

Come afferma s. Paolo in 1Cor 1,22 «i Giudei chiedono segni e i Greci cercano la sapienza», così nel nostro racconto i Giudei chiedono a Gesù di mostrare loro un segno che confermi l’autorità profetica del suo gesto. In Deuteronomio 18 viene fornito il criterio per verificare l’autenticità del profeta: se le sue parole si realizzano egli ha parlato in nome di Dio. Gesù, quale vero profeta, non compie i segni per dimostrare chi è ma i suoi segni sono opera di Dio attraverso i quali mostra la sua gloria e compie la sua promessa. La risposta di Gesù chiaramente rimanda alla sua passione. Parla di «questo tempio» che dopo essere stato distrutto sarà risuscitato in tre giorni. I Giudei pensano che Gesù si riferisca all’edificio e considerano impossibile che quella struttura così imponente costruita in quarantasei anni possa essere riedificata in tre giorni. Si noti che Gesù usa il verbo risorgere mentre i Giudei intendono l’azione di Gesù come ricostruire. L’evangelista, alla luce dell’evento pasquale, riconosce che il segno di cui parla Gesù è la risurrezione del suo corpo ad opera del Padre. Il suo corpo risorto è il nuovo Tempio, la Casa del Padre, dove l’uomo, distrutto il peccato e reso puro nelle mani e nel cuore (Sal 24, 3-5) può adorare Dio in Spirito e Verità (Gv 4,19s.).  

La risurrezione di Gesù non è la ricostruzione o un restauro conservativo, ma è una nuova creazione che fa di Gesù il tempio in cui abitare con il Signore e del credente in Cristo il tempio nel quale Dio si rende presente in mezzo al suo popolo.