La compagnia della Parola guarisce la solitudine del cuore – Venerdì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

La compagnia della Parola guarisce la solitudine del cuore – Venerdì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

12 Febbraio 2021 0 Di Pasquale Giordano

Venerdì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Gen 3,1-8   Sal 31   

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 7,31-37

Fa udire i sordi e fa parlare i muti.

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 

Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 

E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

La compagnia della Parola guarisce la solitudine del cuore

La malattia che colpisce la facoltà dell’udito e della parola rende la persona incapace di una sana relazione con gli altri. Il sordomuto è una persona fondamentalmente sola anche se ha attorno a sé persone che si prendono cura di lui. C’è una solitudine che è assenza di comunicazione e c’è la solitudine che invece è la condizione per una comunicazione piena e profonda, perché intima, capace di operare una nuova creazione.

Il sordomuto è condotto da Gesù perché egli possa guarirlo imponendo la mano. Gesù però compie dei gesti che vanno al di là delle attese di chi gli ha presentato il malato. Innanzitutto, il sordomuto è ritirato dalla folla verso un luogo in disparte come Gesù aveva suggerito ai discepoli per permettere loro di riposare dopo le fatiche della missione. Andare loro soli in un luogo in disparte non significa isolarsi ma entrare in un rapporto di comunione più profonda. Parlando alla donna siro fenicia Gesù aveva detto che il pane dei figli non va gettato ai cagnolini e lei di rimando aveva affermato che quando il pane viene spezzato alla mensa dei bambini le briciole cadono e anche i cagnolini ne mangiano. L’immagine del pane richiama il senso della compagnia che guarisce dalla malattia che condanna alla solitudine. Spezzare e nutrirsi della Parola di Dio permette di uscire dalla solitudine dell’egoismo ed essere capaci di relazioni autentiche nelle quali sperimentare la bellezza della compagnia nello Spirito. 

I gesti di Gesù non sono atti magici, ma è ciò che avviene quando ci lasciamo nutrire dalla Parola di Dio. Le dita nelle orecchie e la saliva sulla bocca sembrano alludere alla profezia che annuncia il tempo del Messia il quale effonde dalla sua bocca lo Spirito Santo. È lo stesso Spirito Santo che fa uscire gli uomini dai sepolcri e che, entrando nei loro cuori, scrive la legge di Dio dentro di loro costituendoli profeti.

Lo Spirito di Dio non ha confini geografici e non si lascia chiudere in schemi ideologici; tuttavia, esso non può liberare se dal di dentro non gli apriamo il cuore permettendogli di toccarci interiormente e guarirci. L’intimità spirituale con Dio ci libera dalla solitudine in cui ci chiude il peccato.

Signore Gesù, soffrendo la passione condividi con tanti poveri d’amore il pane di lacrime nel deserto della solitudine, lì dove la voce di Dio si fa silenzio e la compagnia degli uomini diventa un’assise giudicante. Ti ringrazio perché ti fai compagno discreto nella solitudine degli uomini alla quale i più fragili si condannano per difendersi dai giudizi duri come pietre o per non annegare nel mare delle pretese altrui. Parole offensive chiudono le loro orecchie e la possibilità negata di esprimersi blocca la loro lingua. Lo Spirito apra le mie orecchie perché la tua parola ascoltata nel cuore possa essere comunicata ai fratelli con il linguaggio della fraternità.