Santità, impresa (im)possibile – San Carlo Borromeo

Santità, impresa (im)possibile – San Carlo Borromeo

4 Novembre 2020 0 Di Pasquale Giordano

San Carlo Borromeo

Fil 2,12-18   Sal 26   

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 14,25-33

Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 

«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 

Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 

Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Santità, impresa (im)possibile

Alla folla numerosa che aveva iniziato a seguire Gesù nei suoi spostamenti egli sembra dire: avete compreso dove state andando? Avete iniziato un’impresa, ma avete valutato le vostre forze per non fallire? Ci farà bene domandarci cosa vorremmo costruire nella nostra vita e cosa c’entra Gesù in tutto questo. Potremmo correre il rischio di dirci cristiani, discepoli di Gesù, intendendo con questo delegare a lui ogni responsabilità, salvo poi ritirarci quando le nostre attese vanno deluse. 

Gesù dunque indica la meta del cammino: la misura alta dell’amore. Gesù vuole portarci ad un livello di amore più alto come lo è una torre che svetta sugli altri edifici. La relazione con Gesù non esclude quella con gli altri membri della famiglia, non si mette in competizione con nessuno. Al contrario, l’amore vissuto in famiglia è la condizione di base per crescere come persone e come cristiani. La fede si sviluppa nella misura in cui si curano le relazioni familiari. È nel contesto della famiglia che si impara ad amare ponendosi nei confronti degli altri con un atteggiamento di servizio. Portare la propria croce significa progredire con Gesù nello spirito del servizio. La propria croce diventa il mezzo attraverso il quale fare cose ancora più grandi. Chi impara a servire in famiglia diventa capace di amare alla grande. Ma prima di rischiare in missioni impossibili Gesù ci chiede di aprire gli occhi su ciò che è necessario e compiere il bene possibile. L’impossibile diventa possibile non saltando la croce, ma facendocene carico ogni giorno con amorevolezza. Quanto grande è l’impresa di un figlio che impara a dialogare con i propri genitori e coniugare l’obbedienza e la responsabilità o che restituisce loro la cura quando sono infermi; quanto bello è l’amore di chi condivide con il coniuge gioie e dolori sostenendosi a vicenda nel momento della prova; quanto è edificante l’amore dei genitori per i propri figli attraverso il quale essi imparano a conoscere il vero volto di Dio e ad amarsi reciprocamente tra fratelli e sorelle; quanto è prezioso l’amore di chi sacrifica la propria vita facendone un dono a Dio per la salvezza del mondo.

Il progetto di Dio per noi è certamente ambizioso, egli ci vuole santi! Ma questo non significa dimenticare la nostra umanità la quale deve essere sempre tenuta in conto perché essa è ciò su cui si poggia la grazia di Dio. Per diventare santi e raggiungere la misura alta dell’amore dobbiamo prenderci cura di noi stessi, lasciarci guarire dall’orgoglio che ci rende temerari e incoscienti. Per essere capaci d’amare alla grande dobbiamo avere l’umiltà di renderci capaci di accogliere l’amore che ci sana. È dunque necessario fare spazio nella nostra umanità fragile e insufficiente alla grazia di Dio. Non dobbiamo dimostrare nulla a nessuno, neanche al Signore. La nostra fede e il nostro modo di amare non possono essere una ostentazione o una dimostrazione di quanto si vale per esigere la ricompensa che ci si merita. Attraverso il servizio fraterno ci lasciamo svuotare del nostro orgoglio e della volontà di potenza per accogliere il dono di Dio. La carità non si dimostra con l’ostentazione delle buone opere, ma si offre con gesti umili di chi cerca la pace e la comunione.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!