Il perdono è il tempo nel quale l’amore si (ri)genera – Giovedì della XIX settimana del Tempo Ordinario

Il perdono è il tempo nel quale l’amore si (ri)genera – Giovedì della XIX settimana del Tempo Ordinario

13 Agosto 2020 0 Di Pasquale Giordano

Giovedì della XIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Ez 12,1-12   Sal 77   

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 18,21-19,1

Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 

E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 

Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 

Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano.

Il perdono è il tempo nel quale l’amore si (ri)genera

La domanda di Pietro riflette la preoccupazione comune di evitare l’abuso di un bene importante come la pazienza. È come dire che la pazienza ha un limite e che non bisogna abusarne. A volte poniamo dei legittimi paletti per difenderci dall’abuso che gli altri possono fare della nostra benevolenza e disponibilità.

La parabola che Gesù racconta mette in ordine alcune cose. Innanzitutto, relativizza il nostro potere. Noi siamo servi, non padroni, siamo amministratori dei beni, non detentori di essi. Come tali non siamo innanzitutto creditori nei confronti di Dio, ma debitori, sempre insolventi. Nei suoi confronti non possiamo pretendere quello che ci spetta, ma chiediamo che ci venga condonato il debito, cioè che veniamo perdonati. 

Il primo servo della parabola non chiede il condono del debito, ma che il re abbia pietà di lui e che dilazioni il tempo del giudizio. Aggiunge una promessa che entrambi sanno essere irrealizzabile: ti restituirò tutto il debito. La compassione di Dio supera la supplica del servo che è sciolto dal debito, ma non dal suo dovere di essere buon amministratore. Il perdono è l’occasione che Dio ci offre per amministrare ciò che si è ricevuto non per se stessi ma per il bene degli altri.

I servi della parabola sono fratelli tra loro accomunati dall’aver contratto un debito difficile da restituire, o impossibile, e dalla preghiera rivolta al creditore perché non lo giudichi subito. Il servo che si rivelerà malvagio si trova nella duplice condizione di debitore e di creditore, mentre il re è solo creditore e l’altro servo è solo debitore. Così ciascuno di noi non è mai solo debitore o creditore, ma l’uno e l’altro, siamo debitori a Dio del dono infinto dell’amore e siamo creditori nei confronti degli altri fratelli di qualcosa che ha un valore infinitamente inferiore a ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto. 

Come il re, Dio supera il nostro limite e non solo sposta il temine del giudizio, ma lo annulla creando spazi di libertà e di rinascita. Ciò che Dio si aspetta da noi è la rinuncia al giudizio e alla paura che l’altro abusi della nostra pazienza per offrire al fratello il tempo necessario per convertirsi. Non ci sarà nessun codice che potrà stabilire a priori il limite del perdono, perché il limite del tempo lo dispone solamente Dio. Non siamo padroni del tempo, né di quello nostro né di quello altrui, ma amministratori che non mettono limiti al tempo ma lo valorizzano con l’amore fraterno. La compassione e la carità fraterna fanno del tempo un dono offerto perché diventi vita eterna.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!