Imparare a vivere dai propri errori – Venerdì XXIII settimana del Tempo Ordinario (anno dispari)

Imparare a vivere dai propri errori – Venerdì XXIII settimana del Tempo Ordinario (anno dispari)

11 Settembre 2025 0 Di Pasquale Giordano

Venerdì XXIII settimana del Tempo Ordinario (anno dispari)
1Tm 1,1-2.12-14 Sal 15

O Padre, che ci hai liberati dal peccato
e ci hai donato la dignità di figli adottivi,
guarda con benevolenza la tua famiglia,
perché a tutti i credenti in Cristo
sia data la vera libertà e l’eredità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 1Tm 1,1-2.12-14
Prima ero un bestemmiatore, ma mi è stata usata misericordia.

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, a Timòteo, vero figlio mio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.
Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.

La vocazione è un evento che trasforma il cuore del credente
La prima lettera a Timoteo rientra in quella sezione dell’epistolario paolino che è attribuito ai discepoli dell’apostolo delle genti. Non è una lettera inviata ad una comunità ma al suo pastore, e per questo motivo è chiamata «pastorale». Il genere letterario epistolare impone innanzitutto la presentazione del mittente, quella del destinatario e il saluto. Paolo si presenta come «apostolo di Cristo Gesù», ovvero come suo portavoce. Nel presentare sé stesso, egli sembra mettersi nelle retrovie affinché sia chiaro sin dall’inizio chi sia il protagonista e il soggetto principale che parla: Gesù Cristo. L’apostolo non vanta sé stesso ma l’opera di Dio in sé, cioè ciò che la grazia di Dio sta facendo in lui e attraverso di lui. Paolo è consapevole di essere semplicemente uno strumento nelle mani di Dio; come tale riconosce che la misericordia di Dio lo ha fatto passare dall’essere bestemmiatore all’essere suo servo. La bestemmia consiste nel mettersi al posto di Dio agendo come despota e padrone sulle vite degli altri. Chiamandolo al suo servizio, Gesù Cristo lo ha convertito facendolo diventare suo apostolo. Paolo vive l’apostolato esercitando la paternità spirituale e impegnandosi alla formazione dei credenti perché essi possano diventare a loro volta apostoli missionari del Vangelo. Paolo nutre per Timoteo sentimenti che sono propri di un genitore che genera il figlio trasmettendo la fede. Non si tratta di nozioni ma della condivisione della propria vocazione che si apre alla corresponsabilità pastorale. L’apostolato non può prescindere dalla relazione con Cristo che cambia la vita e che associa alla sua opera salvifica coloro che rimangono uniti a lui.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,39-42
Può forse un cieco guidare un altro cieco?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Imparare a vivere dai propri errori
La presunzione è una grave forma di cecità della mente e del cuore di cui è affetto chi crede di saperne di più degli altri, persino dei maestri. Perciò opportunamente Gesù ci ricorda che non si diventa maestri perché lo si vuole ma solamente se si rimane discepoli, ovvero consapevoli di dover sempre imparare, prima ancora che insegnare. Ben inteso, il desiderio d’insegnare è una cosa buona ed è generato dalla vocazione di ciascuno alla maternità e alla paternità perché la genitorialità si esprime nell’essere maestri di vita. Per ben prepararsi a vivere a pieno la propria vocazione è necessario curare e sviluppare ogni dimensione del discepolato, la prima delle quali è la conoscenza di sé e la volontà di correggersi e migliorarsi. Il Maestro insegna innanzitutto a guardarsi dentro e, cogliendo i propri punti deboli, si fa compagno per aiutare il discepolo a lavorare su sé stesso e a maturare da ogni punto di vista, umano in maniera particolare. Non si può essere maestri della fede se non si seguono tutte le tappe del discepolato dell’umanità per imparare la disciplina della carità fraterna. In definitiva, si tratta di crescere nelle virtù umane in modo tale da intessere relazioni attraverso le quali possa fluire la sapienza e la grazia di Dio. Il maestro vero non è quello che accredita sé stesso vantando titoli o competenze ma è colui che, rimanendo umile discepolo dell’unico Maestro, si pone a servizio gratuito e disinteressato dei suoi fratelli, condividendo con loro la propria esperienza di come si possa imparare dai propri errori e di come trasformare i limiti in risorse, le crisi in opportunità. Non bisogna nascondere le proprie fragilità distraendo la propria attenzione dal prendersene cura e nascondendole dietro l’attivismo filantropico verso gli altri. Il medico migliore è quello che cura le patologie degli altri nella misura in cui sa curare le proprie.

Preghiamo
Signore Gesù, maestro di vita e guida nel cammino della fede, aiutami ad esaminare la mia coscienza e donami il coraggio di iniziare a cambiare ciò che non va in me piuttosto che censurare i difetti altrui. Lo Spirito del consiglio mi conceda d’imparare dai miei errori, cosa significhi aver bisogno di misericordia e il valore dell’offrirla in dono ai fratelli. Fa che non mi senta mai sazio di Te e della tua Parola, ma ispira nel mio cuore la sana umiltà di non sentirmi arrivato o migliore degli altri. La mia fede non sia ostentata ma alimenti scelte di carità che testimoniano nel silenzio della vita quotidiana la mia docile sequela alla tua volontà.