La Chiesa, Cenacolo a cielo aperto – SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO C) – Lectio divina

La Chiesa, Cenacolo a cielo aperto – SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO C) – Lectio divina

18 Giugno 2025 0 Di Pasquale Giordano

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO C) – Lectio divina
Gen 14,18-20 Sal 109 1Cor 11,23-26

Signore del cielo e della terra,
che ci raduni in festosa assemblea
per celebrare il sacramento pasquale
del Corpo e Sangue del tuo Figlio,
fa’ che nella partecipazione
all’unico pane e all’unico calice
impariamo a condividere con i fratelli
i beni della terra e quelli del cielo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro della Gènesi Gen 14,18-20
Offrì pane e vino.

In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.

Dio benedetto è fonte di benedizione
Il cap. 14 del Libro della Genesi si apre con un conflitto che non riguarda direttamente Abram ma il mondo in cui abita dominato dalla legge del più forte attraverso la quale cupidigia e volontà di potenza causano sofferenza e morte. Il caso bellico riguarda quattro re mesopotamici e cinque piccole re cananei che però coinvolgono anche Lot che, vittima della cupidigia di re attratti da paradisi da saccheggiare, viene fatto prigioniero e deportato insieme agli abitanti di Sodoma dove si era stabilito.
Abram, avvertito dai suoi alleati, organizza un manipolo di soldati per andare a liberare Lot che non è più solo il figlio di suo fratello, ma è un «fratello» a tutti gli effetti. L’azione di Abram per recuperare Lot manifesta il suo slancio spontaneo di solidarietà e conferma la sua scelta di salvare il legame fraterno.
Entra in scena in maniera inaspettata la figura di Melchisedek il cui nome significa «re di giustizia» ed è anche «sacerdote del Dio Altissimo». Abram è dichiarato benedetto, quindi è riconosciuto come mediatore della benedizione di Dio. Infatti lui ha portato la vita e la liberazione a coloro che erano stati ridotti in schiavitù e deportati. Fonte della benedizione e della vita è il Dio creatore che ha agito attraverso Abram. Da parte sua Abram offre la decima parte dei beni sottratti ai razziatori per riconoscere a Dio il merito della vittoria. Si realizza per la prima volta ciò che Dio aveva promesso in Gn 12, 2b-3.

Salmo responsoriale Sal 109
Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.

Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».

Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!

A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato.

Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek».

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 11,23-26
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Annunciare con la vita fraterna la potenza della morte di Gesù
L’apostolo si rivolge ai cristiani di Corinto che si riuniscono insieme per «mangiare la cena del Signore» (v. 20). Questo avviene in una delle case che raccoglie la Chiesa di Dio. La dimora privata nella quale si consuma abitualmente il proprio pasto quotidiano diviene uno spazio sacro quando si celebra la «cena del Signore». Quello che gli ebrei celebrano una volta all’anno, i cristiani invece lo celebrano settimanalmente. La cena pasquale è chiamata la cena del Signore perché Gesù è il protagonista. Paolo ricorda ai Corinti il significato dell’eucaristia (termine utilizzato dalla Didaché) fungendo da padre di famiglia che risponde alla domanda dei figli sul significato del rito pasquale, come era usanza nella cena della Pasqua ebraica. La tradizione che Paolo trasmette è in comune con quella della Chiesa per la quale scrive l’evangelista Luca. Nell’ultima cena Gesù spezzando il pane e distribuendo il vino rivela il senso della sua Pasqua che sta per compiersi. Se i fatti metteranno in evidenza l’ingiustizia perpetrata nei suoi confronti per mano degli uomini, Gesù fornisce una chiave di lettura che invece rivela una verità più grande: nella morte egli dona la sua vita per realizzare la nuova ed eterna alleanza con Dio. Paolo riporta le parole di Gesù, quelle che gli apostoli hanno ascoltato e che hanno assunto come chiave ermeneutica per comprendere la verità della morte del loro Maestro. Una volta risorto, lo hanno incontrato vivo. Cristo, donando loro lo Spirito, ha permesso di sperimentare la potenza della salvezza e di credere in Lui. Attraverso il sacrificio di Gesù, anticipato nel segno del pane spezzato e del calice del vino condiviso, Dio opera la conversione del cuore dell’uomo perché assimili la logica dell’amore oblativo e lo viva nelle relazioni di cura e di aiuto con gli altri. Il rito inaugurato da Gesù nell’ultima cena rivela il dono della vita divina offerta nella sua morte in croce. Il rito della Chiesa di Dio non è una rievocazione storica con la quale si va indietro con la memoria ad un evento passato; è memoria di Gesù che, nell’oggi di ogni eucaristia, dona la sua vita per il perdono del peccato di tutti gli uomini affinché possano annunciare con la propria vita la potenza dell’amore di Dio che salva dalla morte.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,11-17
Tutti mangiarono a sazietà.

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Lectio

Contesto
Il contesto nel quale è inserita la narrazione della moltiplicazione dei pani verte sul rapporto tra Gesù e i suoi discepoli. Il cap. 9 si apre con l’invio missionario dei Dodici ai quali vengono dati forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. Essi andarono di villaggio in villaggio annunciando il Vangelo e operando guarigioni. La missione loro affidata ha il compito preciso di rendere noto il fatto che Dio si è reso prossimo in Gesù e che il Regno è attivo nelle sue opere.
I vv. 7-9 sono un intermezzo nel quale Erode, sentendo parlare degli avvenimenti, s’interroga sull’identità di Gesù e desidera vederlo, mosso dalla curiosità piuttosto che dalla volontà di ascoltarlo e conoscerlo.
Al ritorno gli apostoli si riuniscono per fare un resoconto della loro attività e Gesù li riunisce per ritirarsi con loro in un luogo tranquillo. Il Maestro convoca i Dodici prima di inviarli in missione e li riunisce per una sorta di verifica. Gesù rimane il centro. I Dodici hanno portato Gesù alla gente disseminata nei villaggi con la loro parola e i loro gesti. Ora si vedono i risultati dell’evangelizzazione. La gente segue Gesù insieme ai Dodici. Davanti a quella folla di seguaci Gesù si mostra accogliente dando la parola del Vangelo e la guarigione agli infermi. In tutto questo gli apostoli sembrano stare a guardare perché la scena è tutta presa da Gesù. Forse si sentono un po’ sminuiti nella loro funzione considerando il fatto che, in obbedienza al mandato loro affidato, avevano fatto una prima esperienza di missione. Gli apostoli, in realtà, devono ancora capire che non sono semplici funzionari e che la missione di Gesù, condivisa con loro, non può ridursi a prassi. Ciò che più conta è instaurare relazioni personali e non semplicemente soddisfare i bisogni. Gesù vuole dare una lezione di stile familiare soprattutto ai Dodici. L’occasione è data dalla richiesta che gli rivolgono.

Testo
Nel v. 11 l’evangelista riprende l’opera evangelizzatrice di Gesù. L’annuncio del regno di Dio e la cura delle persone non sono due cose distinte ma entrambe s’intrecciano l’una con l’altra perché l’amore di Dio non è un’idea da propagandare a parole ma un’esperienza da fare sulla propria pelle. I problemi della gente non finiscono con il tramonto del sole e con esso il ministero attivo. La stanchezza non è un buon motivo per ritirarsi ma per vivere il riposo nella logica della creazione che lo intende come tempo di comunione e di condivisione.
Al termine della giornata i Dodici fanno presente a Gesù che è giunto il tempo del congedo dalla gente in modo da darle la possibilità di cercare alloggio e cibo. Gli apostoli denunciano una necessità e offrono una soluzione. Questa gente ha bisogno di procurarsi di che mangiare. Nell’ottica di Gesù la folla non deve andare altrove per trovare cibo anche se ci si trova in una zona deserta: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli apostoli sono incaricati di dar da mangiare. I Dodici, che erano rimasti nell’ombra durante l’attività didattica e terapeutica di Gesù, adesso sono chiamati ad assumere una responsabilità diretta. Essi, che sono stati così sensibili a cogliere il bisogno della gente, sono invitati rispondervi in prima persona. Agli occhi dei Dodici Gesù doveva apparire un po’ distaccato dalla realtà, innanzitutto perché non si rende conto che una folla così grande ha bisogno di tempo per organizzarsi come trovare cibo e poi la fame di cinquemila uomini è impari rispetto alle loro forze. Essi potrebbero contare solo sulle poche risorse a disposizione che, messe insieme, fanno appena cinque pani e due pesci. Ancora più irrealistica è l’ipotesi che gli apostoli possano andare a comprare di tasca loro viveri per tutta quella gente. I cinque pani e i due pesci a disposizione dei Dodici sono quello che rimane loro della missione nei villaggi dove hanno evangelizzato e guarito. Essi erano partiti senza pane e denaro per educarsi a fidarsi di Dio e affidarsi alla sua provvidenza. Quel cibo che hanno nelle mani diventa memoriale dell’accoglienza loro riservata dai poveri ai quali essi sono andati da poveri. La povera gente ha aperto la casa per accoglierli e li ha congedati dando loro il necessario per il viaggio. Gli apostoli, annunciando il vangelo e guarendo gli infermi, hanno trasmesso «la forza e il potere su tutti i demoni e di guarire le malattie» che Gesù aveva loro dato (cf. Lc 9,1). Nel loro ministero non hanno solamente dato ma hanno anche ricevuto la provvidenza di Dio di cui sono segno povero i cinque pani e due pesci. Dio ci raggiunge col suo amore nella condivisione di quel poco che abbiamo, del pane che serve per il sostentamento quotidiano.
Allora cosa significa: «Voi stessi date loro da mangiare»? Gesù lo spiega dando delle istruzioni precise ai Dodici. Innanzitutto, essi devono organizzare quella massa informe di gente in gruppi più piccoli di cinquanta circa. Il primo compito affidato ai discepoli è quello di creare piccoli gruppi nei quali finalmente far passare la folla dall’anonimato alla familiarità di una comunità. Ciò che appariva impossibile si realizza. I discepoli effettivamente riescono a dare da mangiare alla gente. Ma c’è un passaggio previo che non ci deve sfuggire perché è la condizione affinché la missione possa essere portata a termine.
Centrale risulta essere l’azione di Gesù racchiusa nei cinque verbi prendere, alzare, benedire, spezzare e dare. Gesù accoglie dalle mani dei discepoli i cinque pani e i due pesci. Prendere non è sinonimo di afferrare o strappare ma di ricevere ciò che i discepoli gli offrono. I cinque pani e i due pesci sono tutto quello che hanno i discepoli. L’offerta dei Dodici nelle mani di Gesù non è simbolica ma reale e totale. Essi consegnano tutto quello che hanno da mangiare, tutto quello che hanno per vivere. Il gesto offertoriale, intuito, è un atto di fede, il dono della propria vita a Gesù. Il silenzio sull’offertorio dei Dodici non vuole indicare l’insignificanza ma la discrezione con il quale si compie e che deve caratterizzare lo stile del dono. Si tratta dell’elemosina data nel segreto, ovvero senza platealità, ostentazione, vanagloria. Il gesto di alzare gli occhi al cielo indica il contatto con Dio nella preghiera. Gesù non prende per sé quel cibo ma lo accoglie per farne un’offerta a Dio. Recitando la benedizione sui pani riconosce che quel cibo prima che dalle mani dei discepoli discende dalla provvidenza di Dio. Lo spezzare il pane e il darlo ai discepoli è un gesto dal sapore familiare. I discepoli entrano nuovamente in scena con il compito di distribuire alla folla ciò che ricevono dalle mani di Gesù.
I Dodici rappresentano la Chiesa tutta, una comunità riunita attorno a Gesù. Il posto da lui scelto per ritirarsi insieme con gli apostoli è un luogo in cui fare esperienza di casa nella quale trovare riposo e ristoro. Alla luce della Pasqua gli apostoli comprendono che il gesto di Gesù sulle sponde del lago di Tiberiade aveva un valore profetico. Gli stessi verbi, infatti, sono ripresi nel racconto dell’ultima cena lì dove Gesù allo spezzare il pane aggiunge le parole che ne rivelano il senso sacerdotale. Il pane preso, benedetto, spezzato e dato, sono il segno profetico della sua morte in croce. Egli dà la sua vita (il pane spezzato) e offre la sua morte (il vino segno del martirio cruento) per riconciliarci con Dio e per fare di noi la Chiesa, la comunità in cui si respira l’aria di casa e nella quale si vive da fratelli.
Il ministero di Gesù è strettamente legato alla relazione filiale con il Padre e quella fraterna con noi. L’insegnamento che ne deriva rivela il senso dell’identità e della missione degli apostoli. Attraverso Gesù, sacerdote e mediatore tra Dio e gli uomini, abbiamo accesso all’intimità familiare con il Padre. Egli accoglie, nutre lo spirito con la Parola e si prende cura del corpo guarendo le infermità. In tal modo insegna che la grazia di Dio promuove l’uomo in ogni sua dimensione, spirituale, psichica e corporea.

Meditatio
Il Corpo di Cristo: accolti con Misericordia, raccolti nella Carità, donati al mondo per la Giustizia

Nella festa del Corpus Domini leggiamo il racconto di Luca che narra il gesto miracoloso con il quale Gesù sfama la folla con i cinque pani e i due pesci offertigli dagli apostoli. In una zona deserta viene preparato un banchetto in cui tutti quelli che seguono Gesù sono invitati a prenderne parte. I Dodici apostoli, che precedentemente erano stati inviati in missione ora sono chiamati ad essere servi di questo pasto conviviale. Non viene chiesto loro semplicemente di procurare del cibo ma di essere protagonisti insieme con Gesù del dinamismo dell’amore fraterno attivato dalla forza dello Spirito Santo. La sua ispirazione suggerisce scelte di vita che ci fanno diventare pane per gli altri, in modo da ricordare che solo vivendo per gli altri possiamo anche vivere pacificamente in mezzo agli altri.
Gesù, inviato del Padre e primo missionario, accoglie e raccoglie. I Dodici, mandati tra la gente per evangelizzare e accolti da Gesù per trovare riposo, devono sempre coniugare l’onore di servire Dio alla consapevolezza che rimangono parte della folla bisognosa di essere evangelizzata e guarita. Lo stile missionario di Cristo e del cristiano è caratterizzato innanzitutto dall’accoglienza, ovvero dal venir incontro alle persone prima ancora che ai loro bisogni. La fede cresce di pari passo con l’adesione alla volontà di Dio e all’appartenenza alla comunità nella quale si vive da servi. All’economia della convenienza Gesù sostituisce quella del dono e della condivisione.
Cinque pani e due pesci, non è solo tutto quello che abbiamo ma anche tutto quello che siamo. Siamo poca cosa rispetto ai bisogni del mondo; eppure, se con fiducia diamo tutto ciò che siamo alla fine ci ritroviamo arricchiti di tutto. Ciò che si riceve è molto di più di quello che si possiede. Per aver dato cinque pani e due pesci, poco rispetto alla fame della gente e dei discepoli stessi ma tutto quello che avevano, ricevono molto di più di quello di cui si erano privati. Cinque pani e due pesci, è il necessario per il quotidiano, come la manna che veniva raccolta nel deserto nella misura bastevole per un giorno. Cinque pani e due pesci, segno della provvidenza di Dio, non da accumulare ma da offrire con riconoscenza e da condividere con generosità. Cinque pani e i due pesci offerti sono il segno della forza e del potere del vangelo che guarisce dall’egoismo e dall’avidità e converte il cuore alla fiducia nella provvidenza di Dio, alla speranza che muove alla carità fraterna. Cinque pani e i due pesci sono l’elemosina fatta nel segreto del cuore che, offerta a Dio, diviene divina provvidenza per i fratelli.
Celebrando l’Eucaristia annunciamo a noi stessi e al mondo la Pasqua di Gesù, nostra speranza. Nell’Eucaristia siamo un popolo di sacerdoti che offre il culto spirituale ponendo nelle mani di Dio la propria vita. Ci si unisce al sacrificio di Cristo sulla croce che ha detto: «Padre nelle tue mani consegno la mia vita». Il sacerdozio non è una funzione ma uno stile di vita nella quale l’annuncio del Vangelo e la cura ai fratelli scaturiscono dalla preghiera. Nell’Eucaristia, la forma più alta di preghiera, ci lasciamo accogliere e raccogliere da Gesù, apriamo il cuore per raccontargli le esperienze di vita e presentargli le necessità del mondo, instauriamo un dialogo fatto di (pro)vocazione e risposta, ci lasciamo coinvolgere nel dinamismo dell’amore. La Parola di Gesù, sebbene possa risultare dura da masticare e da comprendere, è come pane spezzato per essere mangiato a piccoli bocconi. Il Vangelo può essere vissuto giorno per giorno nella quotidianità della vita. Spezzare il pane significa mettere una piccola dose di bontà in ogni cosa che facciamo.

Oratio
Signore Gesù,
ti ringraziamo perché ci accogli
nell’intimità domestica della Chiesa,
tuo Cenacolo a cielo aperto,
e ci riunisci nel vincolo della carità fraterna,
dove non ci sono muri che chiudono e dividono.
Accogliendoci con gentilezza
ci fai gustare la bellezza
della cordialità e dell’amicizia
in modo da non sentirci
semplici fruitori di servizi cultuali
e consumatori di beni spirituali.
Insegnaci ad andare incontro ai fratelli
non con l’ansia della prestazione
ma con la serenità di chi sa di essere
portatore sano della gioia che viene da Te.
Donaci di sentire fame del mondo,
bisogno di giustizia e di misericordia.
Tu che sei l’unico Sacerdote,
ponte tra l’uomo e Dio
e vincolo di unità tra noi,
aiutaci ad essere ministri dell’Eucaristia
e invitaci a celebrarla
unendo la nostra vita alla tua,
sui vari altari del profitto utilitaristico
nei quali spesso si sacrifica la dignità dei piccoli.
Accetta dalle nostre labbra
la professione della fede e la supplica
come hai accolto l’implorazione
del buon ladrone e di ogni povero;
fa della nostra preghiera,
che nasce dal cuore contrito e umiliato,
un sacrificio gradito al Padre
e cibo che nutre la speranza di fraternità.
Rinnova in ogni Eucaristia il miracolo del pane
affinché noi, beati perché abbiamo risposto
al tuo invito e ti abbiamo seguito,
possiamo comprendere che non esiste
giustizia senza compassione
e che non c’è gioia più grande
se non quella di lavorare insieme
perché tutti possano mangiare
e saziarsi in pace.
Amen.