12 Giugno 2025 0 Di Pasquale Giordano

SANTISSIMA TRINITA’ (ANNO C) – Lectio divina
Pr 8,22-31 Sal 8 Rm 5,1-5

Padre santo e misericordioso,
che nel tuo Figlio ci hai redenti
e nello Spirito ci hai santificati,
donaci di crescere nella speranza che non delude,
perché abiti in noi la tua sapienza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro dei Proverbi Pr 8,22-31
Prima che la terra fosse, già la Sapienza era generata.

Così parla la Sapienza di Dio:
«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all’origine.
Dall’eternità sono stata formata,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;
prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io fui generata,
quando ancora non aveva fatto la terra e i campi
né le prime zolle del mondo.
Quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull’abisso,
quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell’abisso,
quando stabiliva al mare i suoi limiti,
così che le acque non ne oltrepassassero i confini,
quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».

Amore creativo
In questa pagina del Libro dei Proverbi c’è l’eco della riflessione sapienziale d’Israele dopo l’esilio, quando per Israele il politeismo non era più un problema perché non costituiva una minaccia per la vera religione. Infatti, al contrario di Gb 28 e Bar 3,9-4,4 in cui la sapienza appare come un oggetto desiderabile ma anche qualcosa di esterno a Dio e all’uomo, in questa pericope (insieme a 1,20-33; 3,16-19; cc. 8-9) essa assume una vera e propria personalità. In questo brano la Sapienza racconta di sé rivelando l’origine divina e la relazione col Creatore, la parte attiva nell’opera della creazione e, infine, la missione di ricondurre gli uomini a Dio.
Il testo usa un linguaggio volutamente poetico per comunicare al lettore il fatto che si sta approcciando alla sapienza che di per sé è misteriosa perché è divina. Come Dio è ineffabile se Egli stesso non si rivela, similmente la Sapienza la si conosce nella misura in cui prevale l’ascolto. La parola dell’uomo scompare per lasciare spazio alla Parola di Dio. Il silenzio è la condizione indispensabile per la contemplazione del mistero (nella cui radice lessicale è iscritto il silenzio) e il contatto con esso. Per il sapiente d’Israele la creazione è il primo libro sacro nel quale poter conoscere Dio. La Sapienza parla innanzitutto della sua relazione con il Creatore: è un rapporto familiare come quello che s’instaura tra un padre e la propria figlia. All’azione generativa, corrisponde l’obbedienza che diventa sintonia e corresponsabilità. La creazione è un’opera corale perché l’armonia di realtà differenti riflette la pluralità delle voci ma anche l’unità progettuale. La relazione originaria tra il Creatore e la Sapienza creatrice è al tempo stesso originante della creazione. L’ordine che la contraddistingue, per cui è chiamata anche «cosmo» («cosmos» in greco significa «ordine»), rimanda ad uno più altro e trascendente che si rivela non solo come realtà pre-esistente (alla creazione) ma soprattutto svela e comunica il suo aspetto più singolare che è la pro-esistenza. La relazione originaria e originante è caratterizzata dall’essere l’uno per l’altro. Questo crea l’armonia. Le realtà create hanno ciascuno un limite e un confine, voluto da Dio, non per renderle inferiori ma perché la creazione non sia minata dall’insidia dell’individualismo. La Sapienza racconta la sua opera sottolineandone la gioia come quando si gioca. L’azione della Sapienza non è semplice esecuzione di un comando superiore ma è corresponsabilità nella realizzazione di un’opera d’arte che narra, senza proferire parola, la bellezza dell’amore vissuto come dono reciproco.

Salmo responsoriale Sal 8
O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi.
Tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 5,1-5
Andiamo a Dio per mezzo di Cristo, nella carità diffusa in noi dallo Spirito.

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

La speranza si poggia sulla fede e si nutre di carità
Per l’apostolo Paolo la fede è innanzitutto il dono di Dio fatto ad ogni uomo. Il fatto che la fede è una grazia per tutti gli uomini lo dimostra la morte di Gesù che avviene nel tempo in cui tutti sono chiusi sotto il dominio del peccato. Paolo trae dal racconto della Genesi circa il peccato di Adamo la conclusione che tutti sono peccatori, come il primo uomo. Se universale è il peccato tale è anche la salvezza grazie alla morte di Gesù Cristo. Infatti, Egli è morto per i peccatori, dimostrando così l’amore di Dio per gli uomini, senza alcuna distinzione. Cosa, dunque, è cambiato dalla morte di Gesù? L’uomo non è più peccatore, non soffre più la tribolazione? Nella sua vita terrena l’uomo sperimenta ancora la sua debolezza ma la sua speranza è certa più del dolore che sente, perché Dio lo accompagna e lo guida con la forza del suo Spirito che è come acqua viva riversata nel cuore. È per mezzo dello Spirito che noi non gridiamo come gli schiavi, ma adoriamo Dio da Figli invocando con fiducia il suo Nome e chiedendo con speranza il suo aiuto (Rm 8, 14-16). Lo Spirito, soprattutto in mezzo alle prove, ci ricorda che il sacrificio di Cristo ci ha resi figli di Dio e che nulla può separarci dal suo amore. Perciò, pur tra tante tribolazioni e cadute, gli occhi devono essere sempre rivolti a quei beni eterni la cui primizia riceviamo nell’esperienza della carità ricevuta e data.

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 16,12-15
Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Lectio

Contesto
Il contesto narrativo è quello dei discorsi di congedo, quindi di un tempo precedente alla morte di Gesù, tuttavia la comunità credente di ogni tempo deve avere la consapevolezza che è il Gesù glorificato che le sta parlando. Gesù offre ai discepoli la chiave interpretativa degli eventi drammatici che stanno per realizzarsi. Ai loro occhi sembrerà trionfare l’ingiustizia; in realtà l’esultanza tracotante degli empi finirà presto mentre la momentanea tristezza dei discepoli si trasformerà in gioia quando i loro occhi vedranno realizzate le parole del Maestro che annuncia la glorificazione. La sua risurrezione, infatti, opera dello Spirito, rivelerà che più forte della morte è l’amore. La glorificazione operata dallo Spirito segna il compimento del progetto di Dio che non viene fermato dal male compiuto dagli uomini.
La passione di Gesù continua in quella dei credenti di ogni tempo, i quali, ascoltando di nuovo le sue parole di speranza, hanno la certezza che non sono abbandonati ad un cieco e tragico destino, ma sono assistiti e guidati, come il loro Maestro e Signore, verso la Casa del Padre. Gesù usa il linguaggio del pellegrino per ricordare che le vicende storiche che lo vedono protagonista sono sotto il segno dell’ «esodo pasquale». Gesù insiste sulla necessità della sua partenza collocandola nel disegno salvifico di Dio del quale si mette al servizio.

Testo
Le parole di Gesù introducono i discepoli a conoscere l’identità del Paràclito e a sperimentarne la funzione. Solo grazie allo Spirito Santo, Spirito della verità, donato da Gesù morente sulla croce, che i discepoli diventano figli di Dio e possono pervenire alla comprensione della verità, ossia dell’identità e della funzione di Gesù.
La verità di cui parla Gesù, non è un concetto ma è Dio; infatti, come Lui, in sé si coniugano due aspetti: l’unicità e la molteplicità di espressione. La verità è unica perché non ne esistono più versioni, come non esistono più dei, ed è una perché al suo interno trovano armonia le sue molteplici espressioni, come armonica è la relazione delle tre persone divine. L’unità non è sinonimo di unicità, ma di comunione e non si dà comunione senza l’armonia di realtà diverse tra loro. Così Dio non è solo uno ma anche trino. Un solo Dio non vuol dire che è un Dio solo ma che la sua unità è data dall’amore che fa abitare insieme, vivendo l’uno per l’altro, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La liturgia più che farci comprendere questo mistero, che sfugge alla mente umana nella sua complessità, ci permette di viverlo presentando la creazione e la storia come due lenti attraverso i quali vedere e contemplare Dio. Il libro dei Proverbi accenna alla creazione i cui elementi, come canta il Sal 8, inneggiano alla gloria di Dio. Ciò che muove Dio a uscire da sé stesso e a creare è l’amore. Anche la storia, fatta di eventi, va letta alla luce dell’amore di Dio che si fa prossimo all’uomo per educarlo ad essere suo figlio. La Verità viene incontro all’uomo e gli parla nella creazione e nella storia che trovano il loro culmine nella Pasqua.

La creazione e la storia
Gesù accenna ad un “passaggio di testimone” tra lui e “lo Spirito della Verità”. Lui ritorna al Padre, che lo ha inviato, perché venga lo Spirito Santo. Entrambi sono testimoni la cui funzione, come avviene in contesti giudiziari, è quella di contribuire perché sia fatta giustizia. Come Gesù anche i credenti sono sottoposti ad un procedimento giudiziario nel quale lo Spirito Santo compie in loro la sua opera, come ha glorificato Cristo con la risurrezione. Il procedimento giudiziario non si riduce semplicemente a ricompensare i giusti con il premio e i colpevoli con la pena, perché la giustizia di Dio non è retributiva ma redentiva, ovvero è in vista della nuova creazione. Gesù è il primo “Testimone di Giustizia” perché si compia la giustizia di Dio, il suo progetto di amore e di vita. In un mondo nel quale si proietta su Dio il proprio giustizialismo, Gesù viene a rivelarne un volto nuovo. Egli è giusto perché misericordioso. La misericordia e la giustizia tendono allo stesso fine: la riconciliazione e la comunione. La verità a cui accenna Gesù è il fatto che Dio ci ama per primo e per sempre. La verità fa male se è ridotta ad un solo aspetto, quello meno piacevole; Infatti, è un fatto anche che l’uomo è insufficiente, mancante, peccatore, ma se ci si fermasse solo all’aspetto negativo, anche se realistico, la paura prenderebbe il sopravvento. Invece, c’è una verità più profonda che non contraddice o cancella quella più evidente: abbiamo un Dio che ci è Padre e ci ama fino a dare la sua Vita, suo Figlio, per noi. Tutta la verità è racchiusa in Gesù crocifisso e risorto. Il più piccolo tra gli uomini rivela sulla croce lo splendore della gloria dell’amore di Dio. Non c’è più nulla di nascosto perché Dio si è messo a nudo davanti agli uomini. Senza la fede, luce e voce dello Spirito Santo che illumina la mente e parla nel cuore, non potremmo mai cogliere nella verità storica della morte di Gesù quella più interiore dell’amore di Dio. Potremmo approcciare gli eventi della Pasqua con la ragione e verificarne la storicità senza però gioire per il fatto di gustare l’amore di Dio. Lo Spirito Santo ci porta nel cuore della verità per lasciarci avvolgere dall’amore di Dio e coinvolgere nella gioia che si respira nella famiglia divina. Gesù Cristo, crocifisso e risorto, ci parla offrendoci la chiave di lettura di tutta la storia dell’uomo che, dal punto di vista di Dio è storia della salvezza. La morte e la risurrezione di Gesù ha la forza del fuoco, del terremoto, del vento, dell’acqua. Agli occhi degli uomini primitivi le forze della natura apparivano come l’espressione delle divinità che esercitavano la loro autorità su di essi. La loro religiosità, intrisa di paura e timore reverenziale, li induceva a compiere riti cultuali per placare la ira divina e ingraziarsi il favore degli dei. Israele fa un’esperienza sconvolgente allorquando incontra il Signore che gli va incontro e si fa conoscere come l’unico Dio. Il suo volto non ha nulla dei tratti delle divinità pagane spesso rappresentati con fattezze animalesche. Si inizia a comprendere che è possibile rintracciare un riflesso della personalità di Dio più negli aspetti umani di sé piuttosto che in quelli animaleschi. Ciò avviene a partire dalla riflessione suscitata dall’esperienza storica del primo e del secondo esodo, quello nel quale fu liberato dalla schiavitù egiziana e il ritorno dall’esilio. La sapienza dell’uomo non cresce solamente di pari passo alle sue capacità tecniche che sfruttano le risorse della natura ma soprattutto proporzionalmente all’elaborazione del pensiero che coglie un senso negli eventi della storia. I sapienti d’Israele, partendo dalla rivelazione che Dio fa di sé negli eventi storici riconosce la Sua gloria che si manifesta nell’opera della creazione e della redenzione e che ha la sua scaturigine nel suo amore misericordioso. La pagina del Libro dei Proverbi, proclamata come prima lettura, sottolinea che la Sapienza, ovvero l’amore, è sorgiva ed efficace. La creazione è un atto di amore gratuito, perché originario, e fedele in quanto rimane per sempre e non è condizionato da nulla, né dalle attese né dalle delusioni. L’amore di Dio anima la sua volontà che si concretizza in azioni prodigiose che sono compiute con gioia e perché essa sia condivisa. Descrivere la creazione come un gioco vuol dire comunicare la gioia di fare qualcosa solamente per amore.
Con la Pasqua Gesù ha aperto all’uomo la via della pace sulla quale lo Spirito Santo ci guida affinché anche noi possiamo percorrerla. Questa via attraversa le difficoltà e le tribolazioni. Esse non sono punizioni divine ma le condizioni ordinarie nelle quali lo Spirito Santo ci aiuta ad avanzare nella pazienza e ad alimentare la speranza che è il motore che ci permette di progredire tra desolazioni e consolazioni. Quando Paolo dice che per fede siamo giustificati vuole affermare che siamo giusti non virtù delle nostre opere ma per la forza dell’amore di Dio che si è manifestato ed è stato donato mediante Gesù. È sempre tramite Gesù che entriamo in possesso di questo dono di grazia. Egli riversa nel nostro cuore lo Spirito Santo che fa crescere la speranza la quale, da una parte tiene accesa la luce della fede e dall’altra alimenta il fuoco della carità. Con il Battesimo (sacramento amministrato nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, cf. Mt 28, 19) siamo introdotti da Dio nella sua “famiglia”. Lo Spirito Santo conducendo alla verità tutta intera, introduce gradualmente i credenti alla conoscenza di Dio. Non si tratta di un processo di apprendimento nozionistico, quanto dell’apprendistato a vivere da figli di Dio anche abitando in un ambiente ostile. Il Maestro interiore è la guida alla scoperta dell’amore di Dio. Non si ambisce a comprendere e possedere tutto lo scibile, ma si interpreta la vita cristiana come introduzione alla vita divina. Questo cammino di scoperta avviene nella vita quotidiana quando sperimentiamo la nostra umana precarietà e insufficienza, ma al contempo l’amore paziente, premuroso e misericordioso di Dio che ci conforma a Lui.

Meditatio
Gesù non è “l’unico” Figlio di Dio

Questa espressione, detta così, potrebbe apparire un’eresia e contraddire la verità di fede della Santissima Trinità che celebriamo questa domenica, la prima dopo il tempo di Pasqua. Eppure, mi sembra il messaggio fondamentale che ci offre questa festa liturgica, quasi che fosse un modo con il quale la Chiesa voglia rileggere sé stessa alla luce dell’evento pasquale e del messaggio d’amore che da esso proviene. Tornando al tempo liturgico ordinario, dopo quello quaresimale e pasquale, la Chiesa vuole ripartire nella sua missione feriale ancorandola alla verità più profonda di sé stessa. Infatti, essa è come una goccia d’acqua nella quale si riflette l’immensità del cielo. La Chiesa, intesa come comunità di uomini e di donne piuttosto che una grande istituzione umana, trova la sua identità nella foto di famiglia scattata nel cenacolo lì dove Gesù riunisce attorno a sé i suoi discepoli. Soprattutto nelle parole riportate dall’evangelista Giovanni nel contesto dell’ultima cena, Gesù istruisce i suoi discepoli sul fatto che essi non sono abbandonati da lui ma che, mediante la sua morte, saranno introdotti nella grande famiglia di Dio. A tal proposito mi piace rileggere le parole di Gesù alla luce della parabola del “padre misericordioso”, non nella forma con la quale ce la consegna l’evangelista Luca, ma riscritta, per così dire, da Gesù che veste i panni del fratello maggiore. La parabola del “padre misericordioso”, infatti” è incentrata sulla relazione che intercorre tra il genitore e i suoi due figli. Un ruolo importante lo gioca l’eredità. Il minore esige la sua parte prima che il padre muoia. Gli viene concessa ma la dissipa riducendosi in miseria fino quasi a lambire la soglia della morte. Quando decide di ritornare, mosso dalla speranza, scopre che il Padre lo attende non per punirlo ma per accoglierlo di nuovo in casa e restituirgli la sua dignità di figlio a cui lui stesso aveva rinunciato. Il figlio peccatore e problematico fa esperienza dell’amore vero, quello che non viene mai meno. L’amore del Padre supera le aspettative e la preghiera del figliol prodigo. La speranza del figlio che motiva il ritorno alla casa paterna è ben poca cosa rispetto a quella che riversa nel suo cuore la gioia del padre. Nel racconto, quando sembra che si sia risolta una crisi, se ne apre un’altra. L’altro figlio, che era rimasto in casa e si era dimostrato fedele al padre, difronte all’accoglienza festosa riservata al fratello s’indigna denunciando quello che a suo parere è una vera ingiustizia, una disparità di trattamento. In cuor suo egli sperava di essere ricompensato con un capretto per fare festa con gli amici. Non gli rimaneva altro che aspettare pazientemente la morte del padre per potersi concedere ciò che gli sembrava essergli negato. Il padre gli ricorda che in realtà essi hanno tutto in comune e nessuna gioia gli è mai stata negata. La festa, come quella organizzata dal padre, infatti non è un’occasione per ostentare quanto si possiede o per fare sfoggio del proprio potere ma è un’opportunità di condividere la gioia della riconciliazione e della comunione. La festa è il tripudio della gioia per la speranza compiuta. Il Padre porta nel cuore una speranza che non viene spenta dal peccato, il rifiuto oppostogli dai suoi figli. Questa speranza guida il figlio a tornare dal padre e quando giunge a casa scopre che la vera eredità non sono i beni materiali, ma l’amore del Padre. Quando accogliamo l’amore di Dio abbiamo tutto. Gesù è il nostro fratello maggiore, inviato dal padre per venirci a cercare e riportare nella casa del Padre; egli è il servo che è incaricato dal padre di rivestirci della nostra dignità filiale e di organizzare il banchetto nel quale Lui stesso si offre come agnello. Gesù, mediante lo Spirito Santo, quale nostro fratello maggiore, non ci permette tanto di comprendere chi è Dio ma di lasciarci abbracciare da Lui che c’ introduce nella sua festosa familiarità. La missione della Chiesa, similmente, non si riduce ad una catechesi che fornisce verità estranee alla vita concreta. Dio la vuole come profezia per far scoprire ad ogni uomo di essere figlio amato e via per condurlo alla comunione intima con Lui. La Chiesa, comunità di fratelli e sorelle di Gesù Cristo, è l’icona storica della Trinità che racconta con la sua storia l’infinito amore di Dio. quanto più la Chiesa vive la sua vocazione alla comunione fraterna, sostenuta e guidata dallo Spirito Santo, tanto più diventa per il mondo speranza per gli uomini e le donne che portano sulla propria pelle le cicatrici della discordia, del peccato e della morte. Uno è l’amore ma molteplici sono i servizi nei quali si manifesta, una è la Chiesa ma molti i suoi figli. Tutto nasce dall’Amore unico di Dio e tutto si compie nell’unica comunione tra noi suoi figli e fratelli.

Oratio
Signore Gesù, Luce di verità
che ci insegni a guardare la creazione e la storia
per scoprire l’infinita grandezza dell’amore di Dio
che si fa incontrare nella
infinita piccolezza della nostra umanità;
grazie perché sei sceso dal cielo
per farti nostro fratello maggiore.
Tu, Sapienza di Dio,
ci fai contemplare la bellezza soprannaturale
custodita nei dettagli della creazione
e ci sveli il senso profondo
degli enigmi della storia umana
ferita dalla guerra e dalla discordia.
Riversa nel nostro cuore,
spesso mortificato dalle delusioni
e amareggiato dalle umiliazioni,

la speranza che sostiene
la nostra fede nelle tribolazioni
e motiva l’impegno quotidiano
perché prevalga la carità
su ogni forma di ingiustizia.
La tua Chiesa sia nel mondo
segno che ricorda ad ogni uomo
la sua origine, che è nel cuore di Dio
e il fine per cui è stato creato:
essere custode del creato e della fraternità.
Donaci il tuo Spirito perché,
vinta ogni resistenza del peccato c
he ci contrappone e ci divide,
possiamo esprimere con la vita
una sfumatura dell’unico Amore
che riconcilia i contendenti,
armonizza le differenze,
riunisce in un unico abbraccio i figli dispersi. Amen.