DOMENICA DI PENTECOSTE – Liturgia vigiliare

DOMENICA DI PENTECOSTE – Liturgia vigiliare

3 Giugno 2025 0 Di Pasquale Giordano

DOMENICA DI PENTECOSTE – Liturgia vigiliare

Rifulga su di noi, Dio onnipotente,
lo splendore della tua gloria, Gesù Cristo, luce della tua luce,
e confermi con il dono dello Spirito Santo
i cuori di coloro che per tua grazia sono rinati a vita nuova.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro della Gènesi Gen 11,1-9
La si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra.

Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono.
Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra».
Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro».
Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

Pietre vive
I primi capitoli del Libro della Genesi fanno uso dei miti le cui tradizioni sono rintracciabili pure nelle testimonianze scritte dei popoli del Medio Oriente. Anche la storia di Babele impiega un linguaggio mitologico per spiegare la molteplicità dei popoli sparsi nel mondo. Alla base c’è l’idea che tutti i tentativi di progettare un mondo senza Dio fallisce con esiti opposti alle intenzioni iniziali. Avere un’unica lingua e uniche parole può facilitare la coesione, ma solo l’unità d’intenti nel bene porta a realizzare qualcosa di solido. Gli uomini intendono costruire una città con mattoni di argilla invece delle pietre e metterli insieme con il bitume al posto della malta. La fragilità del materiale che impiegano per realizzare la loro opera è indice della loro strutturale debolezza. La superbia impedisce di fare bene i calcoli prima di costruire un qualcosa che in seguito si rivelerebbe fatale per i costruttori stessi. Dio interviene per salvare gli uomini dall’autodistruzione. «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori, se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella» (Sal 127,1). La confusione delle lingue è la logica conseguenza dell’uso superbo delle parole e la dispersione è il tragico effetto della collaborazione nel male. Dio, nella sua amorevole sapienza agisce, mediante i servi obbedienti alla sua Parola affinché i figli dispersi si riuniscano in unità. Essa non è più fondata sulla superbia ma sulla carità. Il mistero dell’iniquità attuato dagli uomini con Cristo diviene mistero di salvezza portato a compimento mediante l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste. L’uomo non è più schiavo della propria superbia ma servo di Dio e, in quanto tale, pietra con la quale si edifica la Chiesa, comunità dei salvati che con un cuor solo e un’ anima sola loda il Signore del cielo e della terra.

Salmo responsoriale Sal 32
Su tutti i popoli regna il Signore.

Il Signore annulla i disegni delle nazioni,
rende vani i progetti dei popoli.
Ma il disegno del Signore sussiste per sempre,
i progetti del suo cuore per tutte le generazioni.

Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
Il Signore guarda dal cielo:
egli vede tutti gli uomini.

Dal trono dove siede
scruta tutti gli abitanti della terra,
lui, che di ognuno ha plasmato il cuore
e ne comprende tutte le opere.

Orazione
Scenda su di noi, o Padre, i tuo Santo Spirito, perché tutti gli uomini cerchino sempre l’unità nell’armonia e, abbattuti gli orgogli di razza e di cultura, la terra diventi una sola famiglia, e ogni lingua proclami che Gesù è il Signore. Egli è Dio e vive e regna nei secoli dei secoli.

Dal libro dell’Esodo Es 19,3-8a,16-20b
Il Signore scese sul monte Sinai davanti a tutto il popolo.

In quei giorni, Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me. Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Queste parole dirai agli Israeliti».
Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Si­gnore. Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!». Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore.
Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte.
Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce. Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte.

Il terzo giorno
Ricorre spesso l’aggettivo numerale terzo riferito al mese e al giorno. Questo aggettivo acquisterà il suo significato pieno con l’evento della risurrezione, appunto il terzo giorno (che non significa semplicemente tre giorni dopo). Il terzo giorno indica che il progetto di Dio ha raggiunto il suo culmine e il terzo mese sta a significare che il cammino d’Israele ha raggiunto il suo compimento. Il monte Sinai è il luogo dell’incontro tra Dio, che scende sulla vetta della montagna, e Israele che rimane a valle. La manifestazione di Dio avviene con segni tipici delle teofanie. Il suono del corno indica che il monte è il tempio in cui Dio abita e nel quale gli Israeliti sono invitati ad andare. Solo Mosè può salire sul monte perché lui è il profeta mediatore tra Dio e il popolo. La rivelazione non è privata ma pubblica; al contempo non è diretta ma mediata perché nessuno possa ergersi a interprete esclusivo della Parola. Il rapporto che Mosè ha con Dio non è privilegiato ed esclusivo ma è a servizio del bene del popolo di cui il profeta è parte integrante. Nella figura di Mosè si intravede quella di Gesù. Soprattutto nel vangelo di Giovanni Gesù è fatto segno delle accuse diffidenti dei Giudei come Mosè da parte dei suoi fratelli. La credibilità del profeta risiede nel verificarsi della parola che pronuncia perché se l’oracolo accade è segno che è veramente un uomo che viene da Dio. Mosè riceve la Parola da Dio che suona come impegno e promessa. La Parola si realizza come benedizione per chi crede e maledizione per chi si oppone.

Salmo Responsoriale Salmo 102
La grazia del Signore è su quanti lo temono.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.

Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele.

Ma l’amore del Signore è da sempre,
per sempre su quelli che lo temono,
e la sua giustizia per i figli dei figli,
per quelli che custodiscono la sua alleanza
e ricordano i suoi precetti per osservarli.

Orazione
O Dio dell’alleanza antica e nuova, che ti sei rivelato nel fuoco della santa montagna e nella Pentecoste del tuo Spirito, fa’ un rogo solo dei nostri orgogli, e distruggi gli odi e le armi di morte; accendi in noi la fiamma della tua carità, perché il nuovo Israele radunato da tutti i popoli accolga con gioia la legge eterna del tuo amore. Per Cristo nostro Signore.

Dal libro del profeta Ezechiele Ez 37,1-14
Ossa inaridite, infonderò in voi il mio spirito e rivìvrete.

In quei giorni, la mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare accanto ad esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivi vere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai».
Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annuncia loro: Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore». Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai, ed ecco apparire sopra di esse i nervi; la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito in loro.
Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito, profetizza, figlio dell’uomo, e annuncia allo spirito: Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano». Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti. Perciò profetizza e annuncia loro: Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.

Riconciliazione e risurrezione
Tra le pagine più famose degli oracoli di Ezechiele c’è quella della visione delle ossa che diventa parabola. Il profeta interpreta la visione offrendo al popolo una risposta al lamento che ben descrive la sua situazione spirituale. Le ossa e lo Spirito sono due immagini che si oppongono proprio come il popolo e Dio. Da una parte c’è la denuncia del peccato e dall’altro di quello che è sentito come un’ingiustizia. Eppure, l’umanità peccatrice ancora può incontrare la grazia di Dio.
Ezechiele contempla la visione ma poi è chiamato a passare da spettatore ad attore allorquando parla ripetendo le parole che Dio gli suggerisce. La valle dice la profondità e l’orizzontalità, quella spaccatura nella terra dei vivi che sembra entrare nel regno dei morti. Nella visione Ezechiele, obbedendo al comando di Dio, diventa profeta capace di provocare lo spirito e indirizzare la sua azione verso gli inferi; se la sua profezia ha avuto successo nella visione, potrà riuscire a incoraggiare i suoi compatrioti. L’azione profetica procede in due tempi come nel racconto di Gen 2 dove alla formazione dell’uomo dalla terra segue l’infusione dello Spirito. La provenienza dello Spirito dai quattro angoli della terra suggerisce l’idea di un rinnovamento universale.
Nel lamento dei deportati le ossa inaridite sono la metafora della disperazione, in cui si trovano gli esiliati, che corrode le radici dell’esistenza.
Nell’applicazione il profeta trasferisce l’immagine della morte al sepolcro che è un’ulteriore immagine della condizione disperata degli esiliati. L’immagine del sepolcro è funzionale ad annunciare il nuovo esodo, non più dalla terra d’Egitto ma dal sepolcro dell’esilio per introdurlo nuovamente nella terra promessa. Non si tratta solo di un ritorno nella patria nativa ma di un ingresso da persone nuove, perché vive. Il tema della vita chiude la pericope. Essa è l’oggetto del desiderio di Dio per l’uomo e il fine della sua opera e il contenuto della sua benevolenza.
Qui non si parla di risurrezione ma di liberazione e di ritorno nella terra natia, tuttavia la profezia diventa vangelo nella Pasqua di Gesù nella quale non si annuncia solo la risurrezione di Cristo ma anche la vita nuova, la condotta secondo lo Spirito, la via della santità che il Signore Gesù ha inaugurato.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 50
Rinnovami, Signore, con la tua grazia.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Tu gradisci la sincerità nel mio intimo,
nel segreto del cuore m’insegni la sapienza.
Aspergimi con rami d’issòpo e sarò puro;
lavami e sarò più bianco della neve.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.

Orazione
O Dio, creatore e Padre, infondi in noi il tuo alito di vita: lo Spirito che si librava sugli abissi delle origini torni a spirare nelle nostre menti e nei nostri cuori, come spirerà alla fine dei tempi per ridestare i nostri corpi alla vita senza fine. Per Cristo nostro Signore.

Dal libro del profeta Gioèle Gl 3,1-5
Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo.

Così dice il Signore:
«Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo
e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;
i vostri anziani faranno sogni,
i vostri giovani avranno visioni.

Anche sopra gli schiavi e sulle schiave
in quei giorni effonderò il mio spirito.

Farò prodigi nel cielo e sulla terra,
sangue e fuoco e colonne di fumo.
Il sole si cambierà in tenebre e la luna in sangue,
prima che venga il giorno del Signore, grande e terribile.

Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato,
poiché sul monte Sion e in Gerusalemme
vi sarà la salvezza, come ha detto il Signore,
anche per i superstiti che il Signore avrà chiamato».

Il dono dello Spirito nel giorno del Signore
Questa pericope, posta in posizione centrale nel libro profetico, presenta i temi del giorno del Signore, accompagnamento cosmico della teofania, giudizio delle nazioni, liberazione del popolo, instaurazione di un nuovo ordine. Il tema del «giorno di YHWH», che riveste un ruolo centrale nella profezia di Gioele, attraversa tutta la letteratura profetica e funge da filo conduttore del corpo dei «Dodici profeti»; l’espressione implica insieme castigo e salvezza. Nel libro di Gioele «il giorno del Signore» perde la sua portata di «evento» nel quale Dio giudica e separa i giusti dagli empi, riservando ai secondi il castigo per la loro disobbedienza e ai primi il premio per la loro fedeltà nella prova, per diventare un’idea teologica attraverso cui descrivere i tempi escatologici. Gli eventi soprannaturali, pur richiamando quelli attraverso cui Dio si è rivelato come il Redentore d’Israele (cf. le piaghe d’Egitto in Es 1-4), perdono la loro dimensione storica per significare una nuova creazione che, da una parte, procede da una rinnovata effusione di «spirito», e dall’altra, genera un nuovo ordine di rapporti tra Dio e il suo popolo, perché tutti lo conosceranno. Il punto più originale di questo brano è la generosa effusione dello Spirito divino. Dio è il soggetto parlante dell’oracolo che supera il desiderio di Mosè il quale risponde alla richiesta di Giosuè che gli suggeriva di impedire a due persone di profetare: «Voglia il cielo che tutto il popolo del Signore sia profeta e riceva lo spirito del Signore» (cf. Nm 11). Il dono generoso non solo supera ogni discriminazione di età, di classe sociale, di sesso, ma è universale perché riguarda «ogni carne» (persona). Il superamento di ogni barriera sarà riconosciuto da Pietro in At 2, 17-21. Riguardo all’effusione dello Spirito, Gioele usa il verbo che nel suo significato originale vuol dire «versare» suggerendo, in tal modo, l’immagine di una pioggia estesa che cade su tutti, li inzuppa e li trasforma. I segni teofanici intendono richiamare la drammaticità dei conflitti armati nei quali la violenza provocano incendi il cui fumo oscura il sole e un tale versamento di sangue che tinge di rosso persino la luna. Il dramma della guerra non lascia indifferente Dio che invece è ferito dall’ingiustizia la cui conseguenza giunge fino al conflitto armato che provoca morte e distruzione. Il buio e il sangue sono immagini che trovano il loro senso compiuto nell’evento della morte di Gesù. Tuttavia, l’iniquità e l’ingiustizia, con il loro corredo di tragedie e distruzioni, non hanno l’ultima parola. Essa è affidata alla speranza di salvezza che alberga nel cuore del credente e che si esprime con l’invocazione del nome di Dio in cui si cerca rifugio e protezione. Paolo spiega in Rm 10,10 che l’invocazione del nome del Signore è la professione di fede. Essa è descritta bene nell’episodio del racconto di Luca nel quale il «buon malfattore» si rivolge a Gesù chiamandolo per nome (Lc 23,42). L’uomo non si salva con una formula da lui pronunciata ma perché, invocando il nome di Dio, risponde alla sua chiamata, ovvero alla vocazione ed elezione rivolta a tutto il popolo. Chi chiama è il Dio della giustizia e della misericordia ed a Lui e al suo appello che si risponde, invocando il suo nome. La differenza sta tra chi confida nell’uomo e invoca la salvezza del potente di turno, che risponde se c’è un proprio interesse da tutelare, e chi invece invoca il nome del Signore credendo che solo Lui può salvarlo.

Salmo responsoriale Sal 103
Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.

Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Sei rivestito di maestà e di splendore,
avvolto di luce come di un manto. R.

Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
Benedici il Signore, anima mia. R.

Tutti da te aspettano
che tu dia loro cibo a tempo opportuno.
Tu lo provvedi, essi lo raccolgono;
apri la tua mano, si saziano di beni. R.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra. R.

Orazione
Ascolta, o Dio, la tua Chiesa unita in concorde preghiera in questa santa veglia a compimento della Pasqua perenne; scenda sempre su di essa il tuo Spirito, perché illumini la mente dei fedeli e tutti i rinati nel Battesimo siano nel mondo testimoni e profeti. Per Cristo nostro Signore.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 8,22-27
Lo Spirito intercede con gemiti inesprimibili.

Fratelli, sappiamo che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati.
Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.
Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.

Lo Spirito trasforma il lamento in lode
La speranza secondo la logica della carne è aspettativa passiva che qualcosa cambi attorno a sé e che si creino condizioni più favorevoli. La speranza del credente è invece la forza di attrazione che esercita il Signore e quella che Paolo chiama «la libertà della gloria dei figli di Dio». È la promessa di Dio, come quella ad Abramo, a spingere l’uomo a uscire da sé e farsi pellegrino della speranza. L’attesa di una nuova vita che viene alla luce culmina con le doglie del parto, necessario passaggio affinché la vita possa nascere, crescere e diventare adulta, a sua volta capace di generare. Siamo già figli di Dio in virtù del battesimo, che ripresenta il sacrificio di Cristo con il quale siamo stati strappati dalla solitudine dell’orfano, ma questo dono richiede di essere tradotto in modi di vivere conformi al vangelo in modo che sia effettiva la condizione di figlio di Dio. La rivelazione dei figli di Dio altro non è che il momento nel quale sarà messo in luce pienamente e definitivamente la nostra condizione divina di risorti. Alla luce della speranza, che è una realtà concreta e non un astratto ideale, la tribolazione appare non come una sconfitta ma come la condizione essenziale per partecipare alla passone di Gesù e alla sua condizione di Risorto.
Come i bambini infanti che non sanno parlare anche noi, dice s. Paolo, non sappiamo esprimere a parole quello che portiamo nel cuore. Avvertiamo un malessere ma non siamo capaci di supplicare. La debolezza di fondo è la difficoltà a collegare mente e cuore, intelletto e volontà. Sappiamo ciò che è giusto ma non è detto che riusciamo a fare la giustizia. Lo Spirito santo è il Paràclito che ci prende sotto la sua protezione e intercede per noi. I nostri lamenti, fatti di grida e lacrime, diventano, per la potenza dello Spirito, la preghiera di Gesù sulla croce. Egli, mosso dallo Spirito, intercede per i peccatori al fine di riconciliarli col Padre.

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 7,37-39
Sgorgheranno fiumi di acqua viva.

Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva».
Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato.

Contesto
La pericope liturgica inaugura gli eventi dell’ultimo e più solenne giorno della festa delle Capanne che fa da sfondo a tre scene: Gesù si manifesta come la sorgente di fiumi di acqua viva, suscitando discussioni e divisioni tra coloro che credono in Gesù e le autorità che gli si oppongono (7,37-52); successivamente Gesù si rivela come luce del mondo (8,12-30); in terzo luogo vi è un’accesa diatriba sull’origine di Gesù e dei giudei (8,31-59).

Testo
Il primo dei tre brani può essere diviso in due parti: Gesù proclama di essere la sorgente di acqua viva (vv. 37-39) e nella seconda sono registrate le differenti reazioni della folla e dell’autorità (vv. 40-52).
Il centro della pericope liturgica è l’autopresentazione di Gesù come «sorgente di acqua viva». Del rito, descritto dalle fonti rabbiniche, il quarto vangelo riprende quello della libagione dell’acqua e l’accensione delle luci, ma solo del primo fornisce un’interpretazione scritturistica. Durante i giorni della festa un corteo partiva dal tempio per scendere verso la piscina di Siloe. Dopo aver attinto l’acqua con una brocca d’oro, il corteo risaliva al tempio dove il sacerdote face sull’altare la libazione dell’acqua e del vino, che fluivano fuori dal tempio. Secondo le fonti rabbiniche il rito dell’acqua rievoca simbolicamente il prodigio dell’acqua scaturita dalla roccia nel deserto (Es 17,1-7; Nm 20,6-11) e le acque della creazione che portavano vita nel deserto. La libagione dell’acqua era una forma di supplica per invocare da Dio il dono delle piogge.
Definendo il giorno culminante della festa «il più solenne», l’evangelista intende probabilmente istituire una relazione tra l’ultimo giorno della festa delle Capanne con quello della Paraskeue, definito pure «solenne» (Gv 19,31); s’instaurerebbe un rapporto di profezia e compimento tra le parole di Gesù che annunciano lo sgorgare dell’acqua viva dall’«interno» e l’evento del costato aperto da cui fluisce sangue ed acqua.
Il dialogo con la Samaritana aiuta a comprendere le parole di Gesù. Infatti, egli si rivela come colui che dà l’acqua capace di estinguere la sete per sempre, ma aggiunge che l’acqua da lui donata diviene nel credente sorgente zampillante per la vita (cf. 4,14). Il passo della Scrittura non è una citazione precisa ma è l’eco di più testi biblici collegati con la festa delle Capanne (Es 17,6; Is 12,3;Is 44,3; Zc 14,8). Dunque Gesù rivela la sua identità alla luce di alcuni passi biblici che nel rito vengono evocati e che in lui trovano compimento. Gesù si presenta come la vera roccia dalla quale scaturisce l’acqua viva che disseta chiunque voglia berne. L’affermazione di Gesù sembra collegare la profezia di Ez 47, che descrive con la fuoriuscita dell’acqua dal tempio, al suo corpo che, con la risurrezione, diviene Tempio di Dio.
L’intervento dell’evangelista chiarisce che Gesù, parlando dell’acqua che sarebbe uscita dal suo costato, annuncia il dono dello Spirito Santo. È l’interiorità di Gesù, ovvero la sua comunione intima col Padre, la sorgente del dono dello Spirito, che, come acqua, porta vita dovunque giunga. Cristo è una sorgente inesauribile dello Spirito, perché è un dono gratuito di Dio. La glorificazione di Gesù sulla croce inaugura il tempo nel quale le sorgenti della grazia di Dio sono aperte per sempre e senza condizioni se non quella di credere per essere salvato.