
Elevare lo spirito e promuovere l’umano – ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO C) – Lectio divina
ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO C) – Lectio divina
At 1,1-11 Sal 46 Eb 9,24-28;10,19-23

Padre santo,
che hai glorificato il tuo Figlio innalzato alla tua destra,
fa’ che il popolo da te redento formi una perfetta unità
nel vincolo del tuo amore,
perché il mondo creda in colui che tu hai mandato,
Gesù Cristo, Signore nostro.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dagli Atti degli Apostoli At 1,1-11
Fu elevato in alto sotto i loro occhi.
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Passaggio di testimone
L’autore di questo libro ispirato sappiamo bene che è Luca e il “primo racconto” viene considerato il suo vangelo, dunque quest’opera viene a completare la precedente. Così la conclusione del vangelo di Luca ci aiuta a comprendere meglio l’inizio degli “Atti degli Apostoli” dove l’ascensione di Gesù viene narrata esplicitamente. La dipartita di Gesù è qui preceduta da un colloquio in cui i discepoli, ancora rinchiusi nelle loro idee, domandano se non sia giunto adesso il momento di stabilire il Regno di Israele. I discepoli avevano condiviso con lui quaranta giorni dopo la sua risurrezione. Era stato sicuramente un tempo di grazia. Chi poteva aspettarselo? In fondo, Gesù con la risurrezione aveva concluso il suo itinerario di vita in modo glorioso. Ma evidentemente la sua missione non era ancora finita. Il Risorto è tornato ad educarli alla logica scandalosa e folle della Pasqua: quella logica secondo cui vince chi ama di più. Se per tre anni aveva insegnato loro ad «amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza. E il prossimo loro stessi» (cf. Mc 12,30-31), in quei quaranta giorni, alla luce della sua esperienza personale, avrà forse insegnato loro a lasciarsi amare, a lasciarsi raggiungere nella morte dei loro peccati per risorgere a vita nuova.
Gesù non mortifica la loro domanda, anche se imperfetta: dirotta però la attenzione dal quando verrà il Regno al chi sarà protagonista del tempo che prepara il Regno: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8).
Con la sua Ascensione al cielo si chiude definitivamente l’esperienza terrena di Gesù (At 1,9; cf. Lc 24,51). Non bisogna più stare a guardare il cielo (cf. At 1,11). I discepoli devono imparare a lasciarlo andare. Devono avere il coraggio della sua assenza. Lo aveva detto: «Vado a prepararvi un posto (Gv 14,2); del luogo dove io vado, conoscete la via (Gv 14,4); è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi (Gv 16,7)». L’allontanamento di Gesù dalla vista dei discepoli, per quanto drammatico per i discepoli, è in fondo un gesto di fiducia verso di loro, chiamati adesso a vivere in autonomia e creatività la loro vita di fede.
Solo dopo l’Ascensione il dono dello Spirito potrà renderli protagonisti della nuova fase della Chiesa nascente. D’ora in poi i discepoli dovranno riuscire a tenere pura la loro coscienza per ascoltare la voce interiore dello Spirito e dovranno assumersi la responsabilità di essere testimoni adulti e affidabili.
Salmo responsoriale Sal 46
Ascende il Signore tra canti di gioia.
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.
Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.
Dalla lettera agli Ebrei Eb 9,24-28;10,19-23
Cristo è entrato nel cielo stesso.
Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.
Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.
La nuova alleanza, il nuovo testamento
L’autore della Lettera agli Ebrei usa il termine greco «diatheke» giocando sull’ambivalenza del suo significato. Infatti, egli lo impiega indicando sia l’alleanza che il testamento. In tal modo si attribuisce il senso e il valore alla morte di Gesù, il quale, in quanto sommo sacerdote, ha sacrificato sé stesso inaugurando la nuova alleanza tra Dio e l’uomo. Come la morte avviene una sola volta, così il sacrificio di Cristo è stato unico e definitivo. Tuttavia, argomenta il testo, come la morte del testatore inaugura il tempo in cui si apre il testamento e si riceve l’eredità, così con la morte di Cristo inizia il nuovo testamento il contenuto non è più la Legge da mettere in pratica ma è la ricezione del dono della vita eterna. L’eredità dei figli di Dio non è la terra promessa ma è il regno dei Cieli, ovvero l’amore di Dio che cambia la nostra vita e la rende trasparenza della sua: una vita donata per amore.
Nel contesto dell’ultima cena Gesù rivela ai suoi discepoli che sta per compiersi la sua Pasqua, il passaggio da «questo mondo al Padre». Per rassicurare quelli che chiama e tratta da amici, afferma con la metafora delle «dimore» della «casa del Padre» che in essa va a preparare un posto per loro affinché possano vivere a pieno la bellezza dell’incontro con Dio. Gesù, infatti, offrendo il proprio corpo in sacrificio sull’altare della croce apre una via di accesso al Padre; anzi, egli stesso diventa via per entrare in comunione familiare con Dio. L’immagine della via traduce «il modo di vivere». Gesù diventa via perché è amore che riconcilia. Il cristiano col battesimo viene messo sulla via che conduce alla comunione col Padre. Questa è la speranza, ovvero, il senso del cammino o condotta di vita del credente che, riempito dallo Spirito (pienezza della fede), assume come modello Gesù. Lui, il Maestro e Signore, ha dato l’esempio dell’attenzione da avere gli uni verso gli altri, per creare la comunione nella Chiesa. Dunque, nel momento in cui Gesù introduce i discepoli nella comunità divina, caratterizzata dall’amore che unisce le tre Persone, il credente nella sua condotta di vita è mosso e guidato dallo Spirito che lo spinge ad uscire dalla logica individualistica del vivere per sé stessi al fine di orientare ogni sua scelta verso la costruzione della comunità degli uomini fondata sull’amore che diventa servizio vicendevole.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 24,46-53
Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Lectio Divina
Contesto
Il capitolo dedicato alle apparizioni del Risorto conclude la prima parte dell’opera lucana. Il dialogo tra Gesù e i suoi discepoli culmina con il racconto dell’ascensione (24,50-53) che funge da anello di congiunzione tra la narrazione evangelica e quella degli Atti degli Apostoli che si proclama come prima lettura nell’odierna liturgia (At 1, 9-11). Il cap. 24 risulta composto da tre episodi distinti: la scoperta della tomba vuota fatta dalle donne (vv.1-12), l’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus (vv.13-35) e l’apparizione del Risorto agli Undici e agli altri discepoli che erano con loro (vv.36-49). C’è un’unità di tempo, il primo giorno della settimana, di luogo, perché tutto ruota attorno a Gerusalemme, e di personaggi che, fondamentalmente sono coloro che hanno seguito Gesù nel suo lungo pellegrinaggio verso la Città santa. Tuttavia, il cammino di Gesù, e di conseguenza anche quello dei discepoli, punta alla Gerusalemme celeste. L’intreccio narrativo ruota attorno all’assenza/presenza di Gesù. L’assenza del corpo di Gesù dal sepolcro segnala la sua resurrezione che è la nuova condizione con cui Gesù è presente; questa presenza nuova non viene subito riconosciuta se non dopo un cammino e un’esperienza di condivisione. Il Risorto prepara i discepoli alla missione grazie alla quale si renderà presente pur non essendo più visibile.
Testo
La pericope liturgica è strutturata in tre scene. Nella prima il Risorto, apparso ai suoi discepoli riuniti nel cenacolo, conclude il discorso a loro rivolto. Nella seconda Gesù conduce fuori Gerusalemme i discepoli e mentre li benedice viene portato in cielo. I discepoli sono i protagonisti della terza scena, con la quale si chiude il racconto del vangelo.
Ultime istruzioni – Nel primo quadro narrativo sono riportate le parole di Gesù la cui apparizione aveva colto di sorpresa i discepoli mentre si scambiavano le esperienze fatte con il Risorto. Dopo aver mostrato loro la consistenza reale del suo corpo per fugare ogni dubbio sul fatto che non fosse un fantasma, ricorda ai discepoli le sue parole con le quali annunciava il compimento delle Scritture. L’evento della Pasqua, prima profetizzato, si è realizzato compiendo contestualmente la volontà di Dio. Gesù, che aveva conosciuto mediante le Scritture la volontà di Dio, vi ha aderito non opponendosi al compiersi degli eventi tragici della passione e morte, certo del fatto che il Padre lo avrebbe risuscitato. Gesù non ha subito l’ingiusta condanna ma l’ha vissuta da uomo giusto, ovvero da credente che per la sua fede (giustizia), morendo ha consegnato la sua vita nelle mani del Padre. Il Risorto, riprendendo gli oracoli profetici sulla cui scia aveva posto l’annuncio della Pasqua, dimostra la credibilità della Parola di Dio e, rilanciando l’affidabilità della sua volontà, annuncia che la risurrezione non riguarda solo lui ma anche tutti coloro che, credendo in lui, si lasceranno convertire e riconciliare. Nella volontà di Dio la risurrezione deve diventare una condizione universale. La risurrezione di Gesù nel suo corpo afferma la concretezza della parola di Dio e della sua presenza. Concretezza significa affidabilità, come credibile deve essere la testimonianza dei discepoli. Il Risorto rivela che il progetto salvifico prevede che la sua Pasqua diventi il patrimonio di tutto il mondo. Gesù, dunque, affida questo messaggio ai discepoli perché essi ne siano testimoni. La missione data ai discepoli s’inserisce nel solco tracciato da Gesù del quale diventano i suoi collaboratori nella realizzazione della volontà di Dio. Gerusalemme non è più la città verso cui tutti i popoli si dirigono per riunirsi in un’unica comunità ma diventa il centro propulsore della missione evangelizzatrice dei discepoli. La Città santa più che rivestire il ruolo di centro unificatore, diviene un centro diffusore del vangelo. Perché questo sia possibile deve compiersi la missione dello Spirito Santo. Egli è il «mandato» e il «promesso». È la forza («potenza dall’alto») operativa mediante la quale agisce il Padre e il Figlio, ma senza della quale i discepoli non sono testimoni di Cristo e missionari del Vangelo. I discepoli prima di andare per le strade del mondo a compiere la missione ricevuta devono rimanere in città vivendo nell’attesa l’avvento dello Spirito Santo.
Ascensione ed esaltazione – L’innalzamento al cielo chiude il periodo delle apparizioni del Risorto. L’ascensione non è solo la partenza di Gesù dalla terra ma è la sua esaltazione perché è intronizzato come Messia ed è definitivamente associato alla gloria di Dio. Già nell’evento della Trasfigurazione Mosè ed Elia discutevano con Gesù del suo «esodo» (Lc 9,31). Ora diventa chiaro che l’argomento non era solo il viaggio verso Gerusalemme ma l’ascesa al Padre (Lc 22,69). Dopo aver presentato Gesù come profeta credibile, la seconda scena mette in evidenza la sua identità regale e sacerdotale. Da una parte egli guida i suoi discepoli fuori verso oriente per indicare che il cammino della Pasqua è verso la risurrezione, il terzo giorno della vita, il giorno senza tramonto. Salendo al cielo egli ascende al trono di Dio da dove esercita la sua regalità universale. L’incoronazione regale coincide con l’esercizio del sacerdozio mediante la benedizione. Il benedire tenendo le mani alzate richiama il gesto di Giacobbe e di Mosè che hanno pronunciato la benedizione prima di lasciare questo mondo. Tutta la vita terrena di Gesù è sotto il segno della preghiera intesa come vita protesa verso l’alto. Solo una vita offerta totalmente a Dio per amore diventa benedizione per gli altri. La benedizione non è il favore di Dio che si può guadagnare in qualche modo, ma ne siamo rivestiti nella misura in cui andiamo incontro a Dio, guidati dallo Spirito Santo, offrendo a Lui la nostra esistenza e seguendo l’esempio del Maestro. La benedizione è un dono gratuito meritatoci dal dono gratuito che Gesù ha fatto di sé a Dio. La benedizione è il perdono di Dio. Riconciliati con Dio siamo pacificati interiormente e cambiati (convertiti) gradualmente per poter essere costruttori della fraternità. È lo Spirito Santo che ci converte, purifica, riconcilia e ci rende testimoni gioiosi della risurrezione.
Reazione dei discepoli – La terza scena parla della Chiesa. La reazione dei discepoli differisce da quella delle precedenti rivelazioni. Il timore, lo sbigottimento e il dubbio lasciano il posto alla gioia, all’adorazione e alla benedizione. Il prostrarsi davanti al Cristo significa riconoscerlo Signore che viene benedetto perché si ringrazia Dio perché per mezzo suo manifesta la sua potenza e opera la salvezza. I discepoli di Gesù vivono l’avvento dello Spirito Santo in atteggiamento di adorazione. Nella Chiesa il primato è della liturgia, ovvero della preghiera nella quale si ha la consapevolezza di essere sempre alla presenza di Dio. La preghiera è l’essere alla presenza di Dio in una relazione dialogica. Il tempio inaugura e conclude la narrazione evangelica di Luca; la benedizione, che Zaccaria non poté offrire al popolo a causa della sua incredulità, viene ora posta sulla bocca dei discepoli che lodano Dio e sono pronti per portare al mondo il vangelo.
Meditatio
Elevare lo spirito e promuovere l’umano
Il Risorto insegna, guida e benedice. Sono i tre verbi che denotano la triplice caratteristica della vita nuova di Cristo e del cristiano: profetica, regale e sacerdotale. La fede è certamente un dono di Dio ma richiede anche di essere coltivata nell’incontro personale e nel dialogo. I quaranta giorni dopo la Pasqua sono un arco di tempo nel quale il Risorto istruisce i suoi discepoli sul mistero della salvezza, ovvero sul progetto di Dio che punta alla comunione. Più che di una lezione teorica la parola di Gesù educa alla contemplazione, cioè ad allargare lo sguardo della fede fino ad abbracciare tutta la storia che ha come centro la Pasqua, il punto di non ritorno. Raccogliendo l’eco della voce dei profeti, Gesù offre il senso che rende intelligibile il presente e getta una luce di speranza per il futuro. L’insegnamento del Risorto non mira tanto a ricostruire un rapporto con i discepoli interrotto dalla morte usando le macerie delle speranze infrante, ma punta ad una nuova relazione che fa di loro i protagonisti di una nuova epoca iniziata con la Pasqua. I testimoni non sono semplicemente inviati a raccontare fatti del passato per tenere viva la memoria di un defunto ormai assente, ma sono chiamati ad essere profeti della misericordia divina che opera in loro la conversione e il perdono. Proprio perché riconciliati e pacificati possono essere operatori di pace, banditori della riconciliazione. La Parola del Risorto agisce efficacemente in coloro che l’ascoltano e la mettono in pratica. La fede, quale esperienza di morte e risurrezione, caduta nel peccato e perdono, è un cammino di conversione continua per rinascere come creature nuove. La conversione è il passaggio da credere a ciò che vedo al contemplare ciò che credo. Siamo tutti un po’ come l’apostolo Tommaso, il portavoce di chi afferma che per credere ha bisogno di prove. Salvo poi, nella vita quotidiana, prendere per credibili notizie di seconda mano assumendo il punto di vista altrui in maniera acritica. La storia ci dice come non è poi tanto difficile coagulare un fronte che si opponga a qualcuno, soprattutto se si è capaci di parlare alla pancia della gente e cavalcare l’onda del malumore della folla; d’altronde questo è capitato a Gesù a Gerusalemme. Il rischio di costruire un ragionamento a partire dall’impalcatura di pregiudizi e luoghi comuni è molto attuale, allora come oggi. La contemplazione non è uno stare a guardare passivo ma è dialogo fatto di ascolto e narrazione che, come accadde per i discepoli di Emmaus, fa ardere il cuore accendendo in esso una nuova speranza.
Nel momento in cui sta per compiersi l’«Esodo» di Gesù inizia quello dei discepoli. Sembra esserci una contraddizione tra il comando di Gesù di rimanere a Gerusalemme e il successivo viaggio fuori delle sue mura verso Betania, lì dove era iniziata la sua passione con l’ingresso nella Città santa. In realtà, non è così perché bisogna uscire dai propri schemi mentali per ripercorrere al seguito di Gesù la strada, inaugurata da lui, che, passando dalla croce, giunge al cielo. Non si torna indietro ma si ricomincia con uno sguardo nuovo rivolto al cielo, lì dove è custodita la nostra vera speranza.
Gesù, il buon Pastore, il Re dei re, guida il suo popolo fuori dalla condizione di rassegnazione, apatia, immobilismo indotta dalla durezza del cuore e dalle rigidità mentali. Staccandosi dai discepoli e ascendendo al cielo Gesù non annulla la sua Incarnazione ma la porta a compimento. Infatti, come Gesù non abbandona la sua famiglia, così il cammino di fede del Cristiano non è un itinerario di «disincarnazione» o di fuga dal mondo per rifugiarsi tra le nuvole. Al contrario, la fede eleva la nostra umanità affinché, mediante la testimonianza nell’impegno sociale, possiamo contribuire a promuovere il mondo facendo fruttificare i doni in essi contenuti. Cristo risorto, ascendendo al Cielo diventa il sommo e unico sacerdote, ponte tra Dio e gli uomini. Nel momento della sua morte il velo del tempio, che separava Dio dagli uomini, si lacera da cima a fondo segno dell’abbattimento dell’unica barriera rimasta. Gesù, morendo, ha vinto la morte e, risorgendo, ci ha aperto il passaggio per entrare nella Casa di Dio e abitare con Lui per sempre. Benedicendo, Gesù riveste di Spirito Santo i suoi discepoli e li investe della missione di essere nel mondo come lo è l’anima nel corpo. Solo con la fede viene superato il dramma della separazione, con il suo strascico di tristezza e di paura, per lasciare il posto alla gioia segno del fatto che si sente con certezza di non essere abbandonati al proprio destino ma, al contrario, sostenuti e incoraggiati dalla forza dello Spirito santo. L’incontro con Cristo avviene nella Chiesa, sia quella domestica sia quella più ampia della comunità, ma non si esaurisce nell’ambito di relazioni ristrette nelle quali con più facilità possiamo cedere alla tentazione del settarismo. La veste bianca del battezzato non è una divisa indossata per distinguersi dagli altri ma è l’abito di chi si mette in viaggio ed esce al seguito di Gesù sulla via nuova che Egli ha inaugurato. Si tratta di una condotta di vita nuova che, da una parte lascia dietro le spalle paure e si emancipa da convenzioni sociali inutili, dall’altra diventa una provocazione profetica lanciata al mondo perché esca dal ripiegamento su sé stesso e sui propri interessi e inizi a ragionare ispirandosi a criteri di giustizia e fraternità.
Dopo essersi prostrati i discepoli tornano a Gerusalemme in obbedienza alla parola di Gesù, non alla vita di prima e a chiudersi nel cenacolo, ma stanno sempre nel tempio a lodare Dio. Ritornano pieni di gioia perché benedetti e colmi dello Spirito santo. La gioia di Gesù è la forza dei cristiani che abitano il mondo non lasciandosi intrappolare dalla paura e dalle logiche della competizione ma testimoniando con l’amore fraterno che è possibile un’umanità migliore e più bella.
Oratio
Signore Gesù, che con la tua Pasqua
hai colmato la voragine della morte
e hai costruito il ponte della riconciliazione,
insegnaci l’arte della contemplazione
perché i nostri occhi non si accontentino
di guardare le vicende del mondo da spettatori
ma siano capaci di riconoscere
nella storia le tue orme di Pastore
per tradurre in azione il tuo esempio d’amore
e imitare il tuo servizio pastorale.
Invitaci ancora a seguirti nel pellegrinaggio
attraverso le vie del mondo annunciando il Vangelo
con parole sapienti e opere di vera carità.
La tua Parola sia luce che ci libera
dalle catene paralizzanti delle paure,
dei pregiudizi e dei sensi di colpa perché,
animati dallo Spirito della Gioia,
possiamo discernere e mettere in pratica la volontà di Dio,
nostra stella polare nella notte della prova.
Il Vangelo diventi stile di vita
che fa della comunione fraterna
il segno distintivo della Chiesa
e la profezia dell’Esodo verso il Cielo.
Le mani protese verso l’Altissimo siano testimoni
della preghiera, eco dei gemiti dello Spirito,
con cui rivolgiamo il cuore al Padre;
ci renda come il letto di un fiume nel quale scorre nel mondo
l’acqua viva della tua benedizione.
Le mani stese verso i fratelli e le sorelle
siano aperte per accogliere chiunque
si trovi in debito di speranza e cerchi consolazione;
e siano il prolungamento delle tue,
segnate dal sigillo del Padre
dalle quali attingere senza misura
misericordia e gioia. Amen.
