La promessa di Dio che lo compromette con l’uomo – VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO C) – Lectio divina

La promessa di Dio che lo compromette con l’uomo – VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO C) – Lectio divina

22 Maggio 2025 0 Di Pasquale Giordano

VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO C) – Lectio divina
At 15,1-2.22-29 Sal 66 Ap 21,10-14.22-23

O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora
in coloro che ascoltano la tua parola
e la mettono in pratica,
manda il tuo santo Spirito,
perché ravvivi in noi la memoria
di tutto quello che Cristo ha fatto e insegnato.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dagli Atti degli Apostoli At 15,1-2.22-29
È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie.

In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati».
Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».

La Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, accoglie e accudisce i figli che Dio le dona
La prima Lettura narra di come la prima comunità cristiana ha affrontato una crisi interna. Alcuni avevano preso l’iniziativa di spacciare per regola il fatto che i non circoncisi dovessero farsi circoncidere per dirsi cristiani. In altri termini, chi voleva diventare cristiano e proveniva dal paganesimo doveva prima impegnarsi a sottomettersi alla legge. A questa imposizione si opponevano apostoli del calibro di Paolo e Barnaba i quali per primi si erano resi conto di come la grazia di Dio aveva preceduto la loro opera evangelizzatrice e i pagani erano venuti alla fede prima del loro intervento. Dunque, il primato va dato alla fede quale accoglienza della parola del Vangelo che da sola basta ad attivare il processo di apprendimento e di assimilazione del Vangelo operato dallo Spirito Santo. Le parole degli Apostoli nel cosiddetto Concilio di Gerusalemme confermano quanto Gesù ha detto nel Vangelo. La comunità cristiana, nella misura in cui i suoi membri insieme si dispongono all’ascolto della Parola di Dio con umile obbedienza, viene visitata da Dio e assistita nelle sue scelte dallo Spirito Santo. I cristiani sono accoliti dello Spirito Santo e, come tali, agiscono concordemente alla sua ispirazione. Lui, infatti indica la strada della conciliazione e della comunione.

Salmo responsoriale Sal 66
Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo Ap 21,10-14.22-23
L’angelo mi mostrò la città santa che scende dal cielo.

L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.
È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte.
Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello.

La Gerusalemme celeste
La seconda Lettura, tratta dal Libro dell’Apocalisse, descrive la Chiesa quale Città – Sposa la cui armonia suggerisce la perfezione dell’amore di cui è pervasa perché abitata dalla presenza di Dio che la rende bella, preziosa e luminosa.
Questo brano, che si situa nell’ultima parte del libro dell’Apocalisse, sviluppa più diffusamente il tema, già abbozzato nel brano precedente, della nuova Gerusalemme, simbolo del popolo di Dio degli ultimi tempi. La descrizione si articola in sette punti: rapimento estatico del Veggente (vv. 9-10a), presentazione della Città celeste nel suo insieme (vv. 10b14) e poi nelle sue forme e nelle sue misure (vv. 15-17), materiali da costruzione (vv. 18-21), la presenza divina (vv. 22-23), la città meta di pellegrinaggio delle nazioni (vv. 24-27). La liturgia riporta solo soltanto i primi due momenti e il quinto di essi.
La struttura della Gerusalemme celeste consta di tre elementi: il muro di cinta, le porte e le pietre di fondazione. Questo schema ternario si riscontra anche in Is 54,11-12, a cui la descrizione giovannea sembra ispirarsi. Però lo schema è rielaborato più ampiamente con materiale tratto da Ez 48. La Gerusalemme celeste risplende della «gloria» di Dio, in quanto è il simbolo della presenza di Dio fra gli uomini. In sintonia con Is 54,11-12 il suo splendore è paragonato a quello delle pietre più preziose (vv. 10-11). Le mura della nuova Gerusalemme sono grandi e alte. In esse vi sono dodici porte, sormontate da dodici angeli, nelle quali sono scritti i nomi delle dodici tribù di Israele (vv. 12-13). I dodici angeli che stanno sopra queste porte sono figure simboliche, immaginate come custodi della Città santa, secondo l’affermazione di Is 62,6: «Sulle tue mura, o Gerusalemme, ho posto dei custodi». I nomi delle dodici tribù indicano chiaramente che l’antico Israele sopravvive, rinnovato, nella Gerusalemme celeste. Le mura della città poggiano su dodici basamenti (v. 14): il «nuovo Israele» glorificato ha per fondamento i dodici apostoli dell’Agnello (cfr. Ef 2,19-20). Ciò significa che Israele trova la sua naturale continuazione nella Chiesa, la quale si basa sull’insegnamento degli apostoli, i testimoni privilegiati della vita di Gesù, del suo insegnamento, della sua morte e risurrezione. Vengono poi descritte le forme e misure della città santa (vv. 15-17) e i materiali con cui è costruita (vv. 18-21). Le misure, come pure il materiale da costruzione, costituito da pietre preziose, hanno valore simbolico. Infine, il veggente afferma che nella città non si trova alcun tempio (vv. 22-23). L’assenza del tempio nella Gerusalemme celeste sembra contraddire altri passaggi di questa sezione profetica in cui è menzionato il «tempio celeste». Affermando che Dio e l’Agnello prendono il suo posto, Giovanni raggiunge il vertice del processo di spiritualizzazione della dimora di Dio in mezzo al suo popolo. Questa era stata localizzata prima nel tempio di Gerusalemme (cfr. 2Cr 6,18-21) e poi fra il popolo rinnovato, diventato «tempio spirituale di Dio», costruito con «pietre vive» (cfr. Ef 2,21; 1Pt 2,5). Infine, nella Gerusalemme trasfigurata, Dio rinunzia a un «tempio» per diventare visibile a tutti (Ap 21,22). L’Apocalisse ha un intento teologico e al tempo stesso escatologico. Dio è presentato come colui che dirige tutta la storia umana, ma si farà incontrare pienamente solo alla fine dei tempi, quando dal cielo scenderà la Gerusalemme celeste. In essa egli sarà presente e visibile a tutti, senza bisogno di un tempio che lo ripari dallo sguardo impuro della gente. La Gerusalemme celeste è descritta con numerosi dettagli forniti dal Terzo Isaia (cfr. Is 60); ciò indica, ancora una volta che, secondo l’autore, i vaticini messianici del Primo Testamento troveranno la loro piena attuazione solo nella fase escatologica del regno di Dio. L’incontro escatologico con Dio non riguarda individui isolati, ma tutto un popolo. Esso è anzitutto Israele, il popolo eletto da Dio, che però si incarna nella comunità dei discepoli di Gesù. Tra i due non c’è soluzione di continuità, ma un rapporto profondo secondo lo schema di inaugurazione-compimento. Nella Chiesa il popolo di Dio si apre a tutte le genti fino ad abbracciare tutta l’umanità. Il rapporto con Dio diventa così la sorgente di un nuovo rapporto di solidarietà fra tutte le nazioni della terra.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,23-29)
Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Lectio

Contesto
Nel contesto dell’ultima cena si svolge il dialogo tra i discepoli e Gesù il cui discorso ha il sapore del testamento spirituale. Il Maestro vuole rassicurare i suoi compagni che da lì a poco devono affrontare il problema della sua assenza e della tenuta della comunità legata alla sua dipartita. Gesù li rincuora assicurando loro la sua continua presenza e assistenza. Non saranno abbandonati ma accompagnati nel loro pellegrinaggio verso la Casa del Padre. Il discorso è animato dagli interventi di Tommaso (v.5), di Filippo (v.8) e di Giuda (v.22). Pur avendo difficoltà a cogliere una sequenza logica nei detti, il discorso del cap. 14 si può dividere in tre momenti, focalizzati su altrettanti temi. Nella prima parte (vv. 1-14) i discepoli ricevono rassicurazioni e l’invito ad aver fiducia in Dio e in Gesù. Nella seconda (vv. 15-24) viene introdotto il tema del comandamenti dell’amore e del dono dello Spirito Santo. La terza parte (vv. 25-31) conclude il discorso ricapitolando i temi principali.

Testo
La pericope liturgica è composta di tre parti: nella prima (vv.23-24) Gesù, rispondendo alla domanda di Giuda Taddeo, riprende il tema dell’amore che diventa condizione perché il credente diventi dimora di Dio; nella seconda (vv.25-26) viene introdotta la figura del Paràclito che presso i credenti ha il compito di insegnare e far ricordare il vangelo di Gesù; nella terza (vv.27-29) la promessa del dono della pace sugella la conclusione del primo discorso che indica nell’impegno a fare comunione il fine del cammino di fede e il suo compimento.
Giuda non l’Iscariota domanda a Gesù: Come è avvenuto che devi manifestarti a noi e non al mondo? (Gv 14,22). La domanda potrebbe essere l’eco dell’obiezione: perché il Risorto è apparso solo ai discepoli e non al mondo intero? L’apostolo ha in mente il modo con il quale gli uomini manifestano la loro gloria. La platealità e la spettacolarizzazione non appartengono al modo di agire di Dio il cui fine non è quello di stupire ma di amare, perché la sua volontà non mira a sottomettere ma a promuovere e far crescere. L’amore, infatti, non crea dipendenze ma legami di appartenenza generativi. Nell’economia del discorso il quesito di Giuda Taddeo offre a Gesù la possibilità di approfondire ulteriormente l’annuncio dell’amore del Padre e della circolarità che s’instaura nel rapporto Padre, Figlio, discepolo. Più che dare conto della strategia del Maestro, viene ricordata la responsabilità che ha il discepolo nell’ambito della relazione personale con lui in cui l’amore si manifesta nell’obbedienza. La parola di cui parla Gesù è la Sapienza che ha origine nel Padre e il Figlio, facendola sua, s’identifica con essa e la comunica ai discepoli. Il Figlio incarna la Sapienza del Padre e si rivela al mondo come Parola che dal cuore del Padre giunge fino a quello degli uomini. Perciò Gesù è la Parola del Padre ed è anche la sua essenza, ovvero l’Amore. Esso, più che un sentimento, è una realtà fatta di gesti e parole che hanno effetto benefico in coloro che lo accolgono. Gesù, comunicando ai discepoli il comandamento dell’amore fraterno, rivela la volontà del Padre, che lui stesso ha assunto come senso e fine della sua vita. Il discepolo che ama Gesù entra in una relazione con lui fatta di ascolto, interiorizzazione e attualizzazione della Parola, ovvero della divina volontà. Chi è refrattario all’incontro con Gesù non può essere in grado di amare come Dio comanda. L’amore a Gesù comporta l’accoglienza di Dio nella propria vita che diviene la sua dimora. Sta proprio qui la novità introdotta da Gesù, replicando al suo discepolo. Infatti, non si riprende il verbo «manifestare» della domanda, ma parla del «venire» e del «dimorare» presso il discepolo osservante la sua parola. Il discorso di Gesù non si pone innanzitutto nella linea di chi vorrebbe consegnare ai suoi eredi indicazioni morali o stili di comportamento, ma chiarisce quali sono le condizioni che rendono manifesto l’amore di Dio. Infatti, l’amore fraterno non abilita il discepolo a salire verso la vetta della santità per abitare le dimore celesti, ma esso è il modo di aprire la porta del proprio cuore affinché il Padre e Gesù possano dimorare nel discepolo il cui corpo diventa il tempio di Dio. È l’amore che distingue il vero dal falso credente, il profeta e testimone autentico dal mercenario e millantatore. Chi è abitato dalla Parola può essere un suo fedele annunciatore.
La parola di Gesù non può essere una semplice reliquia da conservare e da venerare ma deve diventare evento, come è accaduto nella Pasqua, quando Gesù ha compiuto la volontà di Dio e ha fatto della salvezza, non solo una promessa, ma una realtà. Ciò che è accaduto per Gesù accade anche per i discepoli, ai quali per mezzo suo è donato il Paraclito. Infatti, Gesù, morendo, ha consegnato lo Spirito e, apparendo ai discepoli riuniti nel cenacolo, lo ha effuso su di loro affinché essi, diventando apostoli suoi, come lui lo è del Padre, potessero continuare la missione di testimoniare e diffondere l’amore di Dio. Dalla croce Gesù ha donato lo Spirito Santo per ogni uomo, come il vento che tutti investe. A coloro che sono riuniti nell’ascolto della Parola e nello spezzare il pane, lo Spirito Santo viene donato «bocca a bocca». Lo Spirito Santo è chiamato il Paraclito, ovvero l’assistente. È un termine utilizzato in contesti giudiziali, come lo è anche la figura del testimone. Il contesto richiama l’ambiente nel quale si vive la fede intesa come testimonianza nel mondo che di per sé è ostile e che chiede conto della speranza che è in noi, ovvero di ciò che ci motiva a vivere cristianamente. Gesù annuncia il dono dello Spirito Santo anticipando ai discepoli le condizioni nelle quali saranno chiamati a vivere la fede. Giuda non l’iscariota chiedeva spiegazioni sulla manifestazione di Gesù a loro e a non a mondo. Gesù spiega che la manifestazione al mondo avviene attraverso la testimonianza dei discepoli. Essi ricevono lo Spirito Santo affinché la Parola di Gesù diventi carne nella loro vita mediante un processo di apprendimento guidato dal Paraclito. Insegnare e ricordare è la missione dello Spirito Santo il cui campo d’azione è il cuore dei credenti che si aprono ad accoglierlo mediante l’ascolto della Parola. Per l’azione dello Spirito Santo la Parola di Dio diviene carne in noi affinché Cristo ci abiti e viva in noi e, con lui, anche il Padre. Insegnare e (far) ricordare sono i verbi del processo della trasmissione della fede che va di pari passo con quella della vita. Grazie allo Spirito Santo «i beni eterni» dal cuore del Padre raggiungono l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo perché è Lui che tiene vivo il processo della Tradizione fede, cioè del passaggio di generazione in generazione della Parola.
Alla promessa di venire ad abitare in noi e del dono dello Spirito Santo, Gesù aggiunge quella della pace che lui stesso donerà. La pace è l’insieme dei beni eterni, cioè dell’Eterno Dio. Sono eterni perché non vengono mai meno, inquanto doni di Dio. Infatti, i verbi sono al presente per indicare il dono della pace inaugurato con la Pasqua non ha un termine o una condizione. I beni divini, non solamente promessi, ma dati per sempre sono: la vita, l’amore e la gioia. La pace di Gesù è la condizione interiore della gioia, segno della sua presenza in chi lo ama. La pace è come la scia di profumo lasciato dal passaggio di colui che ne è impregnato. Gesù, infatti, lascia la pace ed essa, nel cuore di chi crede, si manifesta come desiderio di un amore più grande. La pace che dà il mondo costa un prezzo altissimo in termini di vite umane, mentre quella di Gesù è un dono gratuito anche se offerto a costo della sua vita. La pace del mondo si fonda sulla paura, mentre quella di Gesù alimenta la gioia e spinge all’amore fraterno. I discepoli non devono temere l’abbandono perché la morte di Gesù, con il suo passaggio al Padre, e la sua risurrezione inaugurano un modo nuovo della sua presenza. Il ritorno, promesso da Gesù, non consiste nel tornare indietro ma nel fatto che, con la sua risurrezione, Gesù ci riconcilia col Padre e nel cammino della nostra vita ci accompagna verso di Lui. Il Figlio di Dio che, venuto nella carne, è diventato uomo per donarci il suo Spirito, mediante il quale rinasciamo come nuove creature, attraverso lo stesso Spirito ritorna per rimanere sempre con noi e radunarci per formare un’unica famiglia.
Le parole di Gesù sono una promessa e una profezia che inizia a compiersi nel momento in cui viene pronunciata. Gesù viene a noi come dono del Cielo alla luce del quale leggere con speranza anche gli eventi drammatici che potrebbero indurci a pensare di essere stati abbandonati. L’amore di Dio è fedele e sempre si rinnova nel cuore di chi crede in Lui, spera che la sua volontà si compie e lo ama.

Meditatio
La promessa di Dio che lo compromette con l’uomo

Nella prima parte del Vangelo di Giovanni Gesù è il Maestro che nei dialoghi con le singole persone, come Nicodemo o la Samaritana o nel contesto dei segni che compie, rivela la sua identità a partire dalla missione ricevuta dal Padre. La volontà del Padre prevede due momenti, il primo dei quali è la venuta nella carne e il secondo il suo ritorno nello Spirito. Nel lungo discorso di congedo Gesù, approssimandosi l’ora del «passaggio», fa delle promesse che hanno il sapore della profezia. Il progetto d’amore è unico e universale, ma è anche personale. La morte di Gesù sulla croce è il modo con il quale Dio ama il mondo. È come dire che nel Crocifisso Dio mette innanzi a noi il suo amore. Tuttavia, la promessa diventa realtà nella misura in cui ogni uomo apre il suo cuore ad ascoltare la sua parola e a metterla in pratica.
Nel linguaggio di Gesù amarlo significa entrare nella logica dell’amore a cui s’ispira la relazione che lui instaura con il Padre e che intesse con noi. L’amore verso il Padre lo porta ad obbedirgli con fiducia e quello che nutre nei nostri confronti si traduce in servizio umile e gratuito. Come Gesù viene risuscitato dopo aver compiuto in tutto la volontà del Padre e averci amato fino alla fine, così chiunque mette in pratica il comandamento dell’amore fraterno sperimenta la gioia della risurrezione perché, abitato dallo Spirito Santo, diviene il tempio in cui Dio dimora. Egli è la luce che rende luminoso il nostro viso e impregna di santità il nostro corpo sicché le parole pronunciate e i gesti compiuti comunicano pace e serenità.
Gesù non promette cose che riempiono la pancia o offrono gratificazioni effimere. Il Risorto porta in dono la familiarità con Dio Padre. Apprezzeremo il valore del dono solo quando restituiremo all’Amore il posto che gli spetta. Amore vuol dire comunione e armonia. Chi ascolta la parola di Gesù impara ad apprezzare il valore di ogni singola persona alla quale mai deve essere anteposta qualcosa di materiale. Impariamo ad amare quando apprendiamo l’arte della gratitudine, virtù per la quale diamo il primato alle persone piuttosto che a ciò che esse hanno dato o possono offrire. Lo Spirito Santo ci assiste nell’arte dell’amore aiutandoci a riconoscere in Dio il primato della nostra gratitudine e del nostro amore. L’azione dello Spirito Santo, come l’acqua per il seme, rende feconda in noi la Parola annunciata. Da una parte rivela l’aderenza dell’amore di Dio alla nostra vita attuale e, dall’altra, ci aiuta a far diventare realtà la promessa di Gesù. Grazie all’assistenza dello Spirito Santo la Parola diventa luce di speranza nel buio delle crisi nelle quali siamo intrappolati ed è forza che ci convince ad agire seguendo nient’altro che la voce del cuore. La memoria che attiva lo Spirito Santo non è un semplice ritorno all’indietro fatto con la mente, ma realizza nell’oggi del credente l’evento della Pasqua nella quale viene effuso lo Spirito Santo, perché possiamo diventare dimora del Dio vivente. Amandoci gli uni gli altri nello Spirito Santo edifichiamo la Chiesa che è il Corpo di Cristo, del quale ogni battezzato è un membro. Se l’altro nome dello Spirito Santo è Pace, l’altro nome della Chiesa è comunione. Dov’è lo Spirito lì c’è il profumo della Pace, dove si offre la Pace si edifica la comunione fraterna e la gioia promessa diventa realtà.

Oratio
Signore Gesù,
Figlio di Dio e nostro fratello,
anello di congiunzione tra le generazioni dei fedeli,
in te si compie la promessa del Padre
con la quale si è impegnato a donarci
per sempre e senza condizioni
la gioia della Vita eterna.
Quando divergenze di opinioni
sfociano in tensioni,
causate dai pregiudizi e da personalismi,
vieni in aiuto alla nostra debolezza
che ci induce a cedere al peccato
dell’orgoglio e del protagonismo.
Lo Spirito del consiglio
ci suggerisca sentimenti di umile bontà
e ci disponga al dialogo sereno e franco
per cercare insieme
le vie d’uscita dalle crisi
aiutandoci reciprocamente
a discernere la volontà di Dio e attuarla.
La preghiera corale e comunitaria
ci educhi a lasciarci amabilmente
armonizzare dallo Spirito Santo,
come le corde di uno strumento musicale,
per essere voce dell’unica Parola che dà Pace.
Rendici, come Te, accoliti dello Spirito Santo
per essere docili alla sua azione
e disponibili alle sue indicazioni;
Il Paràclito, dolce ospite dell’anima,
custodisca e fecondi
il seme del Vangelo piantato nel cuore
affinché possa fiorire,
spandendo il profumo della santità,
e fruttificare nelle opere di giustizia e carità fraterna. Amen.