Sforzi intelligenti e fatiche inutili – Mercoledì della XXX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Sforzi intelligenti e fatiche inutili – Mercoledì della XXX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

29 Ottobre 2024 0 Di Pasquale Giordano

Mercoledì della XXX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Ef 6,1-9  Sal 13

Dio onnipotente ed eterno,

accresci in noi la fede, la speranza e la carità,

e perché possiamo ottenere ciò che prometti,

fa’ che amiamo ciò che comandi.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni Ef 6,1-9

Prestando servizio volentieri, come chi serve il Signore e non gli uomini.

Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. «Onora tuo padre e tua madre!». Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: «perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra». E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore.

Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni con rispetto e timore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, non servendo per farvi vedere, come fa chi vuole piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio, prestando servizio volentieri, come chi serve il Signore e non gli uomini. Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo che libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene.

Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che il Signore, loro e vostro, è nei cieli e in lui non vi è preferenza di persone.

L’obbedienza è risposta alla cura amorevole ricevuta

La parte parenetica, o esortativa, della lettera è caratterizzata da quello che è definito il codice domestico in cui si declina il comandamento dell’amore, incarnato da Gesù Cristo. Riprendendo l’antica metafora biblica, che presenta Dio quale marito o padre per Israele il quale riveste la parte della sposa o della figlia, Gesù assume il ruolo di sposo che dona sé stesso alla Chiesa per renderla moglie e madre. Come Gesù si è fatto obbediente al Padre e mediatore della realizzazione della Sua volontà, così anche i cristiani devono sentirsi figli di Dio, nel Figlio Gesù, anche se non appartengono al popolo ebraico. Gesù, infatti, con la sua morte ha abbattuto il muro di separazione che divideva da Dio ma anche quello che ostacolava la fraternità universale. Sicché nella logica del prendersi cura gli uni degli altri, crollano anche quelle separazioni sociali, non essendoci più distinzione di classe. Pur permanendo lo status di padrone e schiavo, prevale la comune appartenenza e sottomissione alla volontà di Dio in modo da assumere il suo stile caratterizzato dall’amore premuroso, rispettoso e tenero. È interessante nell’esortazione paolina il fatto che le sue indicazioni morali non si ispirano ad un codice umano ma al principio incarnato nell’amore concreto di Dio reso visibile nella vita e, ancor di più, nella morte e risurrezione di Cristo. Dunque, l’obbedienza è una virtù richiesta a tutti, schiavi o padroni, perché figli dell’unico Padre il cui amore originante è l’unica vera sorgente di pace.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 13,22-30

Verranno da oriente a occidente e siederanno a mensa nel regno di Dio.

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».

Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.

Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.

Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Sforzi intelligenti e fatiche inutili

La domanda rivolta a Gesù risente dell’idea che la salvezza sia un traguardo da raggiungere e che, come avviene per le corse, sono pochi coloro che la portano a termine mentre molti sono quelli che si perdono per strada. In realtà Gesù è venuto perché tutti possano giungere alla salvezza la cui porta di accesso è la croce. Essa è stretta perché richiede la disponibilità a lasciare tutto per il Tutto. Lo sforzo a cui allude Gesù non sono i sacrifici che possiamo sostenere ma che alla fin fine li facciamo per noi stessi. Si tratta invece di impegnarsi a cambiare mentalità ed entrare nella logica dell’amore che trova in Gesù l’unico modello da imitare. La parabola racconta la triste sorpresa di chi alla fine rimarrà escluso dalla vita non perché vittima di un’ingiustizia ma in quanto unico artefice del suo fallimento causato dalla sua presunzione di salvarsi da solo e da sé. Il momento del giudizio rivelerà la verità del modo con il quale durante la vita abbiamo trattato il «padrone di casa». Infatti, la sofferenza subita dal Signore di vedersi trattato come un estraneo sarà vissuta nel medesimo modo da chi ha tenuto la porta del cuore chiusa alla sua Parola sebbene abbia rispettato formalmente tutti i comandamenti. Questo è il rischio di chi nasconde dietro una buona condotta pensieri egoistici e narcisisti. La barriera del pregiudizio e dell’abitudine a giudicare gli altri in base alle proprie idee impedisce di riconoscere la presenza di Dio e la sua azione, sicché invece di aprirci all’ascolto e all’aiuto ci si chiude al dialogo innescando meccanismi di contrapposizione. Possiamo stare anche gomito a gomito con gli altri ma nutrire sentimenti di disprezzo che annullano ogni forma di autentica comunione. La vera sfida è far entrare Dio in noi, se glielo permettiamo. Infatti, Gesù sembra voler dire che la porta del nostro cuore può essere aperta solo dall’interno a patto che sia divelto il chiavistello della presunzione di potersi salvare da sé.

Signore Gesù, che stai pazientemente alla porta del mio cuore e attendi di entrare, ti chiedo di donarmi il tuo Spirito perché siano scardinate le porte che impediscono di accogliere la Parola della Croce e così poter entrare nella logica dell’amore. Fa che possa liberarmi da ogni pregiudizio e offrire i miei pensieri, la mia volontà, i miei affetti e le mie azioni, le mie gioie e le mie sofferenze al Padre sì da essere capace di compassione e autentica solidarietà fraterna. Tu vedi gli affanni e gli sforzi della vita, dammi la grazia di comprendere se essi sono vani, perché ispirati dal narcisismo, oppure è la fatica di chi lotta con la tua grazia per conformarsi a Te e facendosi compagno di viaggio di chi, pur per strade diverse e spesso accidentate, risponde alla tua chiamata e si fa tuo discepolo.