Chi rimane in me porta molto frutto – V Domenica di Pasqua

Chi rimane in me porta molto frutto – V Domenica di Pasqua

28 Aprile 2018 Off Di Pasquale Giordano

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.

Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 

Parola del Signore

 

La simbologia della vite è pregna di significati che s’intrecciano. Nella tradizione biblica la vigna è il popolo d’Israele che viene scelto, piantato, protetto e curato dal Signore che, come canta il profeta Isaia nel cap. 5, si aspetta un frutto saporito e invece produce uva dal sapore aspro. Il frutto della vite è l’uva il cui prodotto è il vino che allieta il cuore dell’uomo, cioè dà gioia. Dunque il frutto atteso da Dio è la gioia da condividere per fare festa. Tuttavia San Paolo ricorda che la gioia è frutto dell’azione dello Spirito Santo che opera nel discepolo di Gesù che è unito a lui come il tralcio alla vite.

Gesù offre uno sguardo sapienziale per contemplare il volto di Dio il quale non è un padrone a cui interessa il prodotto da cui trarre un utile, ma è Padre a cui sta a cuore la fecondità dei suoi figli. Non sono dunque le opere in quanto tali che Gli interessano, quanto invece il fatto che i suoi figli fruttifichino, diffondano la gioia nel mondo. L’attesa di Dio non è esigenza di un ritorno che gli spetta, ma la realizzazione della vocazione della sua creatura. Essa infatti è stata creata per se stessa, perché sia gioiosa, santa tra i santi, beata tra i beati.

Perché il discepolo sia santo, gioioso e portatore di gioia, pace e amore, è necessario che rimanga unito a Gesù, come il tralcio alla vite, affinché lo Spirito Santo che agisce in Gesù, animi anche chi rimane in Lui. Infatti solo la comunione con Lui nell’ascolto della sua Parola, nel nutrimento eucaristico, nel dialogo orante, nel servizio misericordioso ai fratelli, permette di dare significato alla vita. Dio Padre, come un sapiente agricoltore, taglia e purifica tutto ciò che impedisce un’unione familiare, sponsale con Gesù. Dio Padre, il vignaiolo, non punisce per la colpa, ma trasforma tutto ciò è speimentato come una sofferenza a causa di una perdita o un distacco, in opportunità di crescita nell’amore fraterno. Spesso imputiamo a Dio le nostre sofferenze credendo che Egli sia esigente e rigido, algido e inflessibile. Invece la sua misericordia opera quella purificazione da tutto ciò che potrebbe impedirci di essere veramente fecondi e significativi nell’amore. La Parola di Dio, come una spada a doppio taglio, rivela il senso educativo anche di quegli eventi dolorosi che avvertiamo come profondamente ingiusti perché ci hanno privato di persone o cose sulle quali avevamo puntato tutta la vita. I tagli che la vita opera ci fanno comprendere il valore relativo e provvisorio delle cose e, al contempo il valore assoluto dell’essenziale che non si esaurisce. Una mamma che perde il bambino quando è ancora nel grembo, chi perde lo sposo o la sposa, il figlio o la figlia, chi vede spezzarsi il vincolo comunionale del matrimonio, sente aprirsi delle ferite profonde. Ma anche lì Dio opera perché quelle separazioni, quei traumi, possono essere curati ricordando quanto amore si è riversato sull’altro che non c’è più fisicamente nel tempo datoci per vivere in comunione. Quell’amore di cui siamo stati capaci è ancora possibile metterlo in circolo, donarlo con gioia anche se con modalità diverse da come noi immaginavamo. Tuttavia se rimaniamo invischiati nella rabbia e nella tristezza non possiamo portare quel frutto di gioia per il quale invece siamo stati creati. La parola di Dio non taglia le relazioni di amore, ma elimina tutto ciò che le impedisce rendendoci sterili e al tempo stesso le purifica rendendole più fruttuose. Permettiamo a Dio di insegnarci a lasciar andare ciò che è relativo, provvisorio, superfluo, pesante, ingombrante come possono essere i pensieri o le passioni cattive che impediscono il passaggio nel nostro cuore dell’amore di Dio, e custodire la Parola del Signore perché il nostro cuore, riscaldato e vivificato dallo Spirito Santo possa essere ancora scaturigine di dolcezza, amore, compassione, gioia.

 

Auguro a tutti una buona domenica!